sabato 13 settembre 2014

Dal sito del confratello P. Ambrogio di Torino.

Sulla comunione ai bambini che piangono
del sacerdote Sergij Kruglov

È necessario dare la comunione ai bambini con la forza? Di chi è la colpa, se piangono? Forse è il momento per un rimprovero?
L'altro giorno, alla comunione sono venute alcune persone che spesso si accostano al sacerdote, in piedi all'ambone con il calice in mano; una discreta quantità di persone con i capelli grigi... e un bambino che urlava.
Questo bambino era uno di quelli che non possono essere chiamati "bambini": di circa due anni, forte, paffuto, seduto sulle braccia del papà, e che ancor più categoricamente si rifiutava di posare il capo sulla braccio destro del padre come in una posa da "allattamento al seno". Gridava furiosamente, "Non voglio!", Come se vedesse il sacerdote avvicinarsi con gli strumenti di tortura del carnefice, e scoppiando in lacrime, agitava le braccia e le gambe in modo che nemmeno la madre confusa, venuta in aiuto del papà, riusciva a tenerlo...
Alla fin fine mamma e papà, che si erano confessati per la prima volta in quel giorno, si sono comunicati, ma non hanno osato portare un'altra volta il loro bambino alla comunione. E io, lì presente, a essere onesto, ne sono stato contento – di non vedere il bambino immobilizzato e con il cucchiaio con una goccia del sangue di Cristo forzatamente spinto a denti stretti: non mi sembra che ci sia alcun senso del dovere, ma solo molta scomodità...
Vi è una direttiva: "tutto il meglio – per i bambini." Dare la comunione al bambino in tutti i modi versando in lui tutto il contenuto del calice e con questo adempiere al proprio dovere di genitori cristiani (di nonni, di padrini, ecc ..) – e poi la grazia di Dio compie magicamente per i figli tutto ciò che è necessario e utile... Questa linea di pensiero mi sembra più che dubbia, un'attesa di una "grazia" miracolosa per chi non è pronto, mi fa venire in mente la storia di Danae, e su di essa, la pioggia d'oro che né il sonno né lo spirito potevano comprendere.
Sì, si, diranno, ora ti metterai a parlare della preparazione di una persona (anche molto piccolo) alla comunione.
Vi è anche una convinzione tra i rigoristi ortodossi: se il bambino si oppone alla comunione - allora bisogna rimproverarlo, proprio come se fosse ossessionato dai demoni! Ma nemmeno per sogno, considerare che un bambino piccolo sia un nemico convinto di Dio è una barbarie. È solo che non è pronto alla comunione. E non è pronto spesso proprio perché i suoi genitori non sono pronti per l'incontro con Cristo.
Ecco la parola chiave: "con Cristo". Il fatto che il calice non sia è una cura magica per le malattie e le disgrazie, è da dire e da ripetere. Ma bisogna aggiungere anche qualcos'altro di importante: di per sé, avvicinarsi al calice (e anche comunicarsi), non rende automaticamente una persona un cristiano, non lo introdurre da solo nel circolo dei discepoli, che hanno partecipato con Cristo all'Ultima Cena. Perché prima di sedersi a questa cena, i discepoli hanno incontrato Gesù, lo hanno scelto come il senso della loro vita, lo hanno amato e seguito, hanno vissuto, grosso modo, in un particolare contesto religioso le specifiche aspirazioni messianiche legate al loro Maestro.
In poche parole, la preparazione principale all'incontro e alla comunicazione del bambino con Cristo nel sacramento della comunione – è il cristianesimo dei suoi genitori. La loro partecipazione alla Chiesa, la loro adesione ai precetti del Vangelo, la preghiera e la partecipazione ai sacramenti, e per finire, la loro stessa comunione regolare.
(A proposito, vorrei notare: sì, ci sono momenti in cui i genitori sembrano essere abbastanza introdotti alla vita della chiesa, ma il loro bambino sta ancora manifestando paura o nervosismo quando entra in chiesa. Il mondo umano è ampio e complesso, e nessun modello riesce a comprenderlo tutto, e ogni caso del genere, naturalmente, deve essere considerato singolarmente in una conversazione con un prete esperto).
I bambini ricevono la grazia illuminante e trasformante di Cristo, soprattutto attraverso i loro genitori. Questa legge è stabilita da Dio, ed egli non rompe le sue leggi. Naturalmente, se i genitori sono assolutamente pagani (o non convertiti), allora Dio è in grado di cambiare le vie di un essere umano in modo che sia ancora in grado di entrare nel Suo regno – ma questa è comunque un'eccezione, e Dio vuole che noi impariamo a vivere secondo le regole, che sono le leggi del Regno. Questi comandamenti, l'antico salmista li vedeva come straordinariamente ampi e la loro bocca come il miele, e noi, ahimè, a volte li vediamo come inutile e ristretto ritorno al passato...
Tutto questo vorrei dirlo non solo ai genitori che non si sentono introdotti nella Chiesa, ma anche a tutti quelli che si considerano integrati la Chiesa. Tutti noi che serviamo in chiesa alla Liturgia, aggrottiamo le sopracciglia e scuotiamo la testa alla vista di una mamma trascina all'ambone un bambino riluttante che non capisce dove viene portato e perché, sentendo solo di essere forzato, e chiaramente non credendo agli ammonimenti che "batjushka ti dà un dolcino!" (e grazie a Dio che non ci crede!)
Abbiamo tutti molto da fare – per esempio, prestare attenzione ai nostri amici, parenti, vicini che non vanno in chiesa e che hanno figli piccoli, e aiutarli a capire cos'è la fede in Cristo, cos'è la comunione al suo corpo e al suo sangue, e perché si fa. Infine, e questo è molto importante, chiediamoci ancora una volta: noi stessi, perché andiamo alla comunione e cosa ci aspettiamo da questo sacramento? (Per esempio, andare ancora a piangere in confessione: "Oh, batjushka, ho fatto devotamente tutto il digiuno, ho letto la preparazione alla comunione, e poi la vicina mi ha importunato con chiacchiere, e ho perso subito tutta la grazia!").
Sacerdote Sergij Kruglov

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