sabato 28 aprile 2012

Dal sito amico: http://makj.jimdo.com/

L’INVENZIONE DEL PURGATORIO
 
“In una società profondamente impregnata di religione
cambiare la geografia dell'aldilà significa operare

una vera rivoluzione mentale, vuol dire cambiare la vita.”
 
Jacques Le Goff
Copertina del libro di Jacques Le Goff
 
1. La nuova geografia dell’aldilà: un terzo luogo, il purgatorio. (1)
     L’aldilà cristiano bipolare rimase pressoché invariato fino al XII secolo, quando grandi mutamenti religiosi e sociali sfociarono nella nascita di una nuova società che trasformò la propria visione del mondo, non soltanto quaggiù ma anche nell’aldilà.
     Sant’Agostino aveva diviso gli uomini in quattro categorie: i «del tutto buoni» destinati al paradiso; i «del tutto cattivi» spediti all’inferno; i «non del tutto buoni» e i «non del tutto cattivi» per i quali non si sapeva bene che genere di sorte Dio avesse in serbo. Si pensò che i defunti che, morendo, avevano sulla coscienza soltanto peccati «leggeri» se ne sbarazzassero dopo la morte subendo «pene purgatorie» attraverso un «fuoco purgatorio» simile al fuoco infernale e situato in certi «luoghi purgatori».
     L’individuazione di questi luoghi restava assai vaga. Alla fine del VI secolo Gregorio Magno pensò che potessero trovarsi sulla terra, ma la soluzione più frequentemente adottata fu quella di distinguere all’interno dell’inferno una Geenna inferiore, l’inferno propriamente detto da cui non si usciva mai, e una Geenna superiore dalla quale, dopo un periodo più o meno lungo di supplizi e di purgazione, si poteva ascendere al paradiso.
     Nella seconda metà del XII secolo si inventò un luogo indipendente per questi eletti rimandati, il purgatorio. Fu il «terzo luogo dell’aldilà», intermedio fra il paradiso e l’inferno, che sarebbe scomparso al momento del Giudizio finale, ormai svuotato dei suoi abitatori, tutti saliti in cielo. La durata del soggiorno in purgatorio dipendeva da tre fattori. In primo luogo, era proporzionale alla quantità di peccati (ormai chiamati «veniali», ossia riscattabili, per contrasto con i peccati mortali irredimibili che non potevano evitare l’inferno) che pesavano sul defunto al momento della morte. Poi, dipendeva dai «suffragi» (preghiere, elemosine, messe) che alcuni vivi, parenti o amici, pagavano per abbreviare il tempo di purgatorio di certe «anime». Infine, la Chiesa, dietro pagamento in denaro, poteva ottenere il riscatto integrale o parziale del tempo di purgatorio che restava da scontare ad alcuni defunti. Si trattava di quelle «indulgenze» di cui la Chiesa, a partire dal Duecento, fece un commercio sempre maggiore.
     Il purgatorio, per finire, era a senso unico. Se ne usciva soltanto per andare in paradiso. Non si poteva «retrocedere» verso l’inferno.
   Grande fu l’importanza di questo terzo luogo, che svuotava parzialmente l’inferno e sostituiva il sistema binario dell’aldilà con un sistema più complesso e più elastico, conforme all’evoluzione degli «statuti» sociali terreni, e che fu ampiamente diffuso dai frati degli ordini mendicanti creati all’inizio del Duecento (domenicani, francescani).
    L’“invenzione” del purgatorio […] accrebbe in modo considerevole il potere sui morti [ma anche sul denaro dei vivi…] della Chiesa (che nel Duecento trasformò l’esistenza del purgatorio in dogma) in quanto, tramite i suffragi e le indulgenze che erano di sua pertinenza, essa estese all’aldilà del purgatorio un potere giurisdizionale che, in precedenza, era appartenuto soltanto a Dio. 
 
2. Intervista a Jacques Le Goff (2)
 
«Il Purgatorio di Dante rappresenta la conclusione sublime della lenta genesi del Purgatorio avvenuta nel corso del Medioevo». Lo ricorda Jacques Le Goff, il celebre medievista francese, che quasi venticinque anni fa pubblicò La nascita del Purgatorio, un saggio appassionante, il cui ultimo capitolo era proprio dedicato alla seconda cantica del capolavoro dantesco.
     «Quella proposta da Dante è una costruzione complessa, la più ricca di tutta la storia del Purgatorio, il quale non è mai stato descritto con altrettanta dovizia di particolari e di significati», spiega lo storico oggi ottantunenne, ricevendoci nella sua abitazione parigina ingombra di libri, tra i quali figurano anche i due ultimi tradotti in italiano, Il corpo nel Medioevo e, in uscita tra pochi giorni, Eroi & meraviglie del Medioevo (entrambi da Laterza). «La forza del poema dantesco», prosegue, «ha contribuito in maniera decisiva ad ancorare nell'immaginario collettivo l'esistenza di questo "terzo luogo", la cui nascita era tutto sommato recente».

Vuol dire che, per i primi cristiani, il Purgatorio non esisteva?


«Esatto. E' convinzione diffusa che il Purgatorio sia sempre esistito, ma non è affatto così. Esso ha preso forma nella seconda metà del XII secolo. In precedenza, pensando all'aldilà, gli uomini immaginavano solo due luoghi antagonisti, l'Inferno e il Paradiso. A poco a poco, ha poi iniziato a delinearsi una realtà intermedia, la cui funzione era quella di consentire la purificazione delle anime prima dell'ingresso nel Paradiso. Il Purgatorio, quindi, non è nato all'improvviso e già definito nelle sue caratteristiche. E' piuttosto il risultato di una lenta e progressiva maturazione legata a un insieme di cambiamenti intervenuti nelle credenze e nei comportamenti degli uomini del Medioevo. Fin dalle origini, il cristianesimo aveva immaginato la possibilità che le anime potessero liberarsi dai peccati rimasti dopo la morte. Nel VII secolo s'inizia a parlare di "fuoco purgatorio " e di "pene purgatorie", ma fino a metà del XII secolo il luogo dove le anime si purificano resta indefinito. La grande novità introdotta dal Purgatorio è la definizione di un luogo unico, preciso e riconoscibile. Ma l'esistenza di un terzo luogo dotato di uno statuto di unicità implica diverse conseguenze».


Può fare qualche esempio?
 
«La nascita del Purgatorio modifica la giurisdizione esercitata sui morti, favorendo la pratica delle indulgenze. Secondo la dottrina tradizionale, gli uomini da vivi rispondevano al tribunale della Chiesa, una volta morti però erano giudicati solamente dal tribunale di Dio. Con il Purgatorio si crea una sorta di tribunale comune in cui intervengono sia Dio che la Chiesa. Le anime che vi transitano, infatti, continuano a dipendere da Dio, ma beneficiano anche dell'azione della Chiesa che distribuisce le indulgenze. Il Purgatorio, dunque, ha rinforzato il potere della struttura ecclesiastica, che così, oltre che dei vivi, è responsabile in parte anche dei morti. Una situazione che la Riforma protestante ha in seguito fermamente condannato. Per gli uomini del Medioevo però l’esistenza del Purgatorio accresceva le speranze di salvezza, dato che non tutto era definitivamente stabilito al momento della morte. Perfino per gli usurai, che fino ad allora erano irrimediabilmente condannati all'Inferno, inizia a profilarsi un aldilà meno cupo. Naturalmente vivere con tale speranza modifica radicalmente la prospettiva della vita quotidiana».

Come si spiega l'avvento del Purgatorio?


«Il passaggio da un aldilà caratterizzato da due luoghi antagonisti, Inferno e Paradiso, a un aldilà articolato in tre regni va messo in parallelo con l'arretramento del manicheismo avvenuto nella società medievale tra la metà del XII e la metà del XIII secolo. Il mondo medievale diventa più sfumato. L'antica opposizione tra ricchi e poveri, potenti e deboli, inizia a modificarsi con l'emergere di una fascia intermedia. Nella gerarchia sociale, tra signori e sudditi, si profila la categoria dei borghesi. Sul piano culturale, altri elementi che giocano a favore della nascita del Purgatorio sono il crescente interesse per le rappresentazioni geografiche come pure le nuove traduzione di Euclide, da cui si ricava la nozione di intermediario. Più in generale, poi, la nascita del Purgatorio s'inseriva in quel lento processo che di solito viene definito come la discesa dei valori dal cielo alla terra. Da questo complessa evoluzione della società è nata la credenza del Purgatorio, credenza che poi si è diffusa grazie alle predicazioni di francescani e domenicani».


All'inizio il terzo luogo come viene rappresentato?


«In realtà, vi furono molte resistenze alla credenza del Purgatorio e l'arte da questo punto di vista fu abbastanza conservatrice. Le prime rappresentazioni del regno intermedio appaiono alla fine del XIII secolo, come quella del Breviario del Re Filippo il Bello. Per gli artisti dell'epoca era certamente difficile rappresentare un regno per sua natura provvisorio, a metà strada tra Inferno e Paradiso. Le prime immagini propongono uno spazio simile all'Inferno, in cui alcuni angeli vengono a sottrarre al castigo delle fiamme le anime dei giusti, le quali spesso sono rappresentate in preghiera con le mani giunte e gli occhi rivolti al cielo. Bisognerà aspettare il XV secolo per avere delle vere e proprie rappresentazioni del Purgatorio, nelle quali è evidente l’influenza decisiva di Dante, il quale, inserendo il terzo luogo al centro della più importante opera letteraria del Medioevo, ha fondato una nuova iconografia e un nuovo immaginario. Non a caso le più antiche illustrazioni del Purgatorio come luogo autonomo e geograficamente definito sono quelle legate alla Divina Commedia».


Immaginare il Purgatorio come una montagna fu una novità?


«Certamente. Dante ha trasformato completamente la geografia dell'aldilà. Per lui, il Purgatorio non è più un luogo sottoterra, vicino e simile all'Inferno. E' invece una montagna che si erge in mezzo al mare, fatta di circoli concentrici che le anime percorrono dal basso verso l'alto. Per accedere al Paradiso devono risalire completamente le pendici del Purgatorio, con un percorso ascensionale inverso a quello dell'Inferno. Dante traduce in immagini l'elemento rivoluzionario introdotto dal Purgatorio, vale a dire la dimensione della speranza. Una speranza che sul piano dell'immaginario collettivo cambia tutto».


Eppure nel Purgatorio rimangono diversi aspetti ricollegabili all'Inferno...


«E' vero. La dottrina della Chiesa immagina le anime del Purgatorio come dotate di una specie di corpo che le rende sensibili alle sofferenze, sia quelle spirituali che quelle corporali. Nel Purgatorio esse subiscono pene simili a quelle dell'Inferno, ritrovando il fuoco, che ne è l'elemento più tipico e virulento. Nonostante ciò, Dante ha molto contribuito a sottrarre il terzo luogo al dominio dell'Inferno. Egli, infatti, ha attribuito al Purgatorio uno statuto autonomo, uguale a quello degli altri due luoghi, mentre la Chiesa aveva la tendenza a farne una regione dipendente dall'Inferno. Il poeta fiorentino è uno spirito positivo, ispirato verso l'alto dal suo umanesimo, e quindi la sua visione del Purgatorio ne risente. Al contempo però, mantenendo il Purgatorio lontano e diverso dal Paradiso, grazie anche al paradiso terrestre che fa da confine, egli ne sottolinea il carattere provvisorio. Dopo il giudizio universale, infatti, resteranno solo l’Inferno e il Paradiso. Tra le anime ci saranno solo eletti o dannati. E quelle passate per il Purgatorio accederanno al regno dei cieli».


Come ha reagito la Chiesa al poema dantesco?


«Come ho detto, la Divina Commedia ha svolto un ruolo fondamentale nel processo che ha imposto il Purgatorio come un elemento essenziale dell'oltretomba. La Chiesa pero non se ne è occupata più di tanto. Dante era un laico e quindi il suo straordinario poema non venne preso in considerazione come opera spirituale. Egli però non è solo un immenso poeta ma anche un uomo di pensiero, che quindi ha saputo pensare il Purgatorio, rappresentandolo in maniera completa e introducendo perfino alcuni elementi originali, come ad esempio l'antipurgatorio».


Quali sono gli episodi del Purgatorio che lei ricorda più volentieri?


«Mi piace molto il canto undicesimo, quello del girone dei superbi, dove Omberto Aldobrandeschi parla della vanità della gloria mondana. Si tratta di versi particolarmente commoventi e efficaci. Ma vorrei anche ricordare l'inizio del canto settimo, dove, attraverso le parole di Virgilio, Dante sottolinea il senso simbolico dell'ascensione della montagna. Un viaggio verso la beatitudine».
 
 
3. Secondo la Chiesa ortodossa (3)
 
In sintonia con i Padri della Chiesa, la teologia ortodossa parla di uno stato intermedio dopo la morte, di beatitudine per i giusti e di tormento per i peccatori: uno stato ancora privo (prima del Giudizio Finale) di un carattere definitivo. Per coloro che sono morti con piccoli peccati inconfessati, o che non hanno portato frutti di pentimento per i peccati confessati in vita, si parla della purificazione di questi peccati o nella prova della morte, o attraverso l'intercessione della Chiesa (con la preghiera e le buone opere dei fedeli). Questa intercessione è in grado anche di dare una certa misura di sollievo ai tormenti dei peccatori destinati al castigo eterno, come testimoniano numerosi Padri e alcune preghiere pubbliche della Chiesa per i defunti (per esempio, la terza delle preghiere in ginocchio della domenica di Pentecoste, attribuite a San Basilio). Ogni perdono di peccati dopo la morte viene unicamente dalla bontà di Dio, con la cooperazione delle preghiere degli uomini, e senza bisogno di alcuna forma di "soddisfazione" o "pagamento". La Chiesa cattolica romana era giunta, al tempo del concilio unionista di Lione, a considerare lo stato intermedio dei defunti prima del Giudizio Finale come definitivo e irreformabile. L'inutilità di pregare per i beati già perfetti, o per i dannati senza speranza, giunse a fare ipotizzare un "terzo stadio" di sofferenza limitata e purificatrice, dove anche i peccati già perdonati devono ricevere "soddisfazione". La tradizione ortodossa vede questa dottrina come qualcosa di essenzialmente estraneo alla fede apostolica, aggravata dall'assenza di riferimenti espliciti, nelle Sacre scritture, a uno stato che non sia quello della beatitudine dei giusti o del tormento dei peccatori.
    Il Purgatorio nasce dalla concezione di una punizione ecclesiastica che deve necessariamente corrispondere a ogni peccato, in questa vita o nella prossima, e dalla nozione giuridica di opere supererogatorie (in eccesso rispetto al necessario per la salvezza), una dottrina sviluppatasi nella scolastica del XIII secolo, e confermata da Papa Clemente VI nel 1343. Questa dottrina per l'Ortodossia, non solo non è scritturale, ma addirittura in chiaro contrasto con le parole di Cristo (i "servi inutili" di Lc 17,10 non sembrano depositari di meriti sovrabbondanti). L'ideale di perfezione cristiana, del resto, è per i fedeli ortodossi così alto, che la sua stessa irraggiungibilità esclude a priori che si possa superarne la misura.  Infine, l'Ortodossia mantiene serie riserve sul contorno legalistico che il Cattolicesimo romano ha costruito attorno al Purgatorio, così come sulla pratica delle indulgenze (ovvero il trasferimento dei meriti sovrabbondanti di Cristo e dei Santi per colmare i debiti dei peccatori), che ne è il logico coronamento”.
 
NOTE
 
(1) Da Dizionario dell’Occidente medievale, Einaudi - Voce: Aldilà – a cura di Jacques Le Goff (in http://annamaria75.altervista.org);
(2) Intervista pubblicata sul giornale “La Repubblica”, del 27 settembre 2005 di Fabio Gambero (Parigi) – Il libro di Jacques Le Goff, La nascita del Purgatorio è edito dalla Casa Editrice Einaudi (collana Einaudi Tascabili). Jacques Le Goff (1924) è uno storico francese, studioso della storia e della sociologia del Medioevo tra i più autorevoli nel campo della ricerca agiografica;
(3) Da “99 differenze tra Ortodossia e Cattolicesimo romano” (vedi Il PDF nel nostro LINK BESA);

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