venerdì 23 settembre 2011

Ricevo dal carissimo amico Prof. Francesco Marchianò di Spezzano Albanese questo articolo scritto da Raffaele Fera......e lo giro a tutti voi (Leggetelo con attenzione e sappiate che se Roma impera nei nostri paesi e perchè molte volte il popolo non ha potuto difendersi abbastanza)


IL 1668 SEGNA LA FINE DEL RITO 
GRECO ORTODOSSO A SPEZZANO
Cronaca di un (NEFASTO...n.d.r.) evento conclusosi 334 anni fa.
SPEZZANO ALBANESE – Il 26 gennaio, le comunità arbëreshe di rito greco ortodosso hanno commemorato i defunti. E’ una liturgia purtroppo completamente estranea a Spezzano Albanese che ha dovuto dire addio alla religione dei padri il 4 marzo del 1668.
La dolorosa storia inizia nel XVII secolo, quando il livello culturale e quindi teologico dei preti di rito greco a Spezzano Albanese, come in tutte le altre comunità arbëresh, era ormai bassissimo. Dopo un tirocinio simile ad un garzone di bottega, gli aspiranti sacerdoti si recavano a Roma per l’ordinazione sacerdotale che veniva concessa più per compassione che per merito di dottrina. Per contro i sacerdoti di rito latino presenti nei due comuni limitrofi di Terranova e San Lorenzo, forti di una cultura figlia del concilio di Trento, esercitavano una forte attrattiva nei giovani aspiranti al sacerdozio. Il paese si scinde fra progressisti che aspirano al rito latino e tradizionalisti che vogliono conservare la religione dei padri. Il lavorio sotterraneo dei primi è favorito anche dalle manovre dell’Arcivescovo di Rossano Francesco Carlo Spinola oltre che dall’Arcivescovo Antonio Spinelli, parente del Feudatario Principe Vincenzo Spinelli di Cariati, che, subentrato nel 1619 quale nuovo padrone del feudo di Terranova da Sibari, alla casa principesca dei Sanseverino, non vedeva di buon occhio il prete ortodosso del tempo Don Nicola Basta, uomo di elevata posizione sociale, sacerdote pio e zelante e non incline al servilismo di prammatica verso il feudatario di turno.
Dopo che la Sacra Congregazione Generale di Propaganda Fide ebbe rigettata la richiesta di 40 spezzanesi, quantunque supportati dalle autorità comunali, che chiedevano il passaggio dell’intero paese al rito latino, il principe Spinelli andò su tutte le furie, meditando l’occasione della vendetta contro Don Nicola Basta.
Fu così che, una sera del 1663, rapito da due guardiani del principe e costretto a rinunziare all’arcipretura, fu rinchiuso nelle carceri del castello di Rossano. Le autorità comunali, in testa il sindaco Angelo Cuccio, su richiesta di 70 cittadini che lamentavano la mancanza di un sacerdote, nell’aprile del 1664, sollecitano nuovamente la Sacra Congregazione al cambio del rito. La petizione venne trasmessa al Sant’Uffizio che prese tempo in attesa delle informazioni chieste sul caso al nuovo Arcivescovo Francesco Carlo Spinola, nominato alla morte di Giacomo Carafa, amico e protettore dell’arciprete Basta. Nel frattempo anche la popolazione che voleva mantenere il rito greco rivolse una petizione proponendo, probabilmente dietro suggerimento dello stesso Basta che dal carcere aveva scritto una lettera in tal senso alla Sacra Congregazione, lo sdoppiamento della parrocchia nei due riti, per riappacificare gli animi.
Intanto, l’arciprete Basta, veniva scarcerato, ma restava un estraneo nella sua chiesa dove era stato sostituito dal Don Antonio Capparelli. Questa situazione si protrasse per più di due anni durante i quali la Santa Sede continuava a tacere visto che l’arcivescovo Spinola, non sapendo uscire dall’empasse e non volendo scontentare il principe, non inviava le informazioni richieste. Questo silenzio della Santa Sede, veniva interpretato dal principe Spinelli come una grave menomazione al suo prestigio feudale, e per questo macchinava il modo di uscirne vincitore. Fu così che nella primavera del 1664, due suoi inviati, descritti come i bravi di Don Rodrigo, ebbero il compito di “convincere” Don Nicola Basta a rinunciare volontariamente all’arcipretura. La risposta fu negativa ed il principe maturò l’idea di ucciderlo. Fortunatamente preavvisato di questi propositi, l’arciprete, nell’agosto del 1664, si rifugiò nella vicina San Lorenzo, sottoposta alla giurisdizione di un altro feudatario, Don Paolo Mendoza, Marchese della Valle Siciliana. Visse così due anni, ma la sera del 4 agosto del 1666, gli stessi due sbirri di due anni prima, lo acciuffarono ai confini e legatolo come un malfattore lo trasportarono nelle segrete del castello di Terranova da Sibari. Qui, dopo 27 penosi giorni, il 31 di agosto, rese l’anima al Creatore.
Immediatamente il 5 settembre le autorità, riconvocata la popolazione e ottenutone parere favorevole, inviano un corriere speciale a Roma con la terza richiesta di cambiamento del rito. Nel frattempo, il 24 settembre, l’Arcivescovo Spinola, con più che sospetto tempismo, spedisce la relazione di due anni prima, imputando il ritardo all’impossibilità di ben operare causa la presenza ostile del Basta. Vi include anche una copia della richiesta già inviata dalle autorità comunali tramite corriere, per far credere di essere all’oscuro di tutto.
Ma il Sant’Uffizio che il 1° ottobre 1664, ricevuta la lettera di Don Nicola dal carcere, era venuto a conoscenza delle macchinazioni del principe, non presta fede alla parola dell’arcivescovo e con lettera del 3 marzo 1667 gli ordina di recarsi a Spezzano per interrogare personalmente la popolazione e assicurarsi sulla sua unanime volontà di passare al rito latino.
La dettagliata risposta dell’Arcivescovo non lascia dubbi. Tutti gli spezzanesi (mille abitanti), - ma nei documenti sono elencati poco più di un centinaio di cognomi - vogliono passare al rito latino. Questo a causa della scarsa preparazione culturale dei preti greci e della pratica ormai comune di confessarsi con sacerdoti latini.
Questa volta la Sacra Congregazione di Propaganda Fide dette credito alla relazione dell’arcivescovo Spinola e il nuovo Papa Clemente IX, il 3 agosto 1667, 45 giorni dopo la sua elezione, firmò l’”exequatur”. La motivazione di una così sollecita firma da parte del Pontefice - come sostiene lo storico   G. A. Nociti - è probabilmente da ricercare nelle eresie di Lutero, Calvino e Giansenio che agitavano il mondo cattolico. Il germe delle eresie e degli scismi, persino nel rito greco, che prevede il matrimonio dei sacerdoti (all’epoca tutti felicemente sposati e con numerosa prole), era un pericolo da non sottovalutare.
Il nuovo arciprete latino fu Don Vincenzo Mangiacavallo, scelto l’11 novembre 1667. Era il più interessato alla nomina vista l’attività propagandistica svolta in favore del nuovo rito. E il 4 marzo 1668, dall’altare della chiesa matrice di San Pietro e Paolo, celebrò malinconicamente la prima messa latina inaugurando a Spezzano il nuovo rito, chiudendo così una vicenda durata oltre un cinquantennio.
Un’occasione per ritornare all’antico rito si ripresentò agli spezzanesi nel 1919, quando la Santa Sede, ritenendo strategica la posizione topografica di Spezzano, a cui fanno da corona la gran parte delle comunità arbëresh del cosentino, la propose come sede della istituenda eparchia greca. Ma lo scarso gradimento delle autorità religiose della diocesi, fece propendere la scelta in favore della vicina comunità di Lungro.
Raffaele Fera.

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