sabato 24 luglio 2010

Dal sito: http://makj.jimdo.com/

LETTERA A UN AMICO CATTOLICO ROMANO

Pubblichiamo una vecchia lettera-testimonianza di un ex-uniata (cattolico-romano) che lasciata la chiesa del Papa e diventando ortodosso, ci aiuta a comprendere con la verità dell’amore, uno dei tanti inganni operati dalla chiesa dei Papi.


Caro B.:
Anche se non me lo hai chiesto direttamente, io sento dalle tue parole che ancora non comprendi perché ho lasciato la chiesa Romana per diventare Ortodosso. “Eri addirittura membro di una delle parrocchie bizantine meno latinizzate”, sembra che tu mi dica, “perché, allora?...”. Credo di doverti una spiegazione, perché, molto tempo fa, quando entrambi appartenevamo alla chiesa Latina, convivevamo gli stessi sentimenti. Furono proprio questi sentimenti a condurre entrambi in una parrocchia di rito bizantino, e me, inseguito, all’Ortodossia. Non puoi aver dimenticato le critiche che noi muovevamo ai Romani: la continua sostituzione di nuove “tradizioni” al posto di quelle antiche, la Scolastica, l’approccio legalistico alla vita spirituale, il dogma dell’infallibilità papale. Allo stesso tempo entrambi riconoscevamo la legittimità e la correttezza della Chiesa Ortodossa. Una parrocchia uniata sembrava la soluzione ottimale. Mi ricordo cosa dicevo in quel periodo: “Penso come un Ortodosso, credo come un Ortodosso , allora sono Ortodosso”. Entrare ufficialmente nella Chiesa Ortodossa mi sembrava solo un’inutile formalità. Addirittura pensavo che restare in comunione con la chiese Romana fosse un fatto positivo, in vista dell’obbiettivo di una possibile riunificazione delle Chiese.
Bene B., avevo torto. Io credevo di conoscere la Fede Ortodossa, ma era solo un’infarinatura, e molto superficiale per giunta. Altrimenti non mi sarebbe potuta sfuggire l’intrinseca contraddizione tra il sentirsi Ortodosso e il non essere riconosciuto tale proprio dalla Chiesa la cui fede dichiaravo di condividere. Solo un non-Ortodosso può concepire un’assurdità come essere Ortodosso fuori dall’Ortodossia. La salvezza individuale non riguarda solo la singola persona, come molti Occidentali credono, ma deve essere vista nel quadro più generale della Comunione dell’intera Chiesa. Ogni Cristiano Ortodosso è come una foglia di vite. Come può ricevere la linfa vitale se non è attaccata al tralcio (Gv 15,5)? L’Ortodossia è un’impostazione di vita, non un rito. La bellezza del rito deriva dalla realtà interna della Fede Ortodossa, e non da una ricerca di forme. La Divina Liturgia non è una maniera più pittoresca di dir messa: nasce, riaffermandola, da una realtà teologica che diventa vacua e inconsistente se enucleata dall’Ortodossia. Quando c’è lo spirito della fede Ortodossa, la funzione più misera, in una stanzaccia, con due icone di carta appoggiate su due sedie per iconostasi,e un pugno di stonati a far da coro, è incomparabilmente superiore alle funzioni nella mia ex parrocchia uniate, in mezzo ai magnifici mosaici bizantini del XII secolo, e un coro ben istruito (quando c’era). L’osservanza quasi paranoica delle forme del rito è il vano tentativo di compensare la mancanza di un vero ethos Ortodosso. Io mi illudevo credendo di poter essere un Ortodosso nella comunione Romana. Mi illudevo perché è impossibile. La continua interferenza di Roma nella vita ecclesiastica ti ricorda al momento opportuno chi è che comanda. Pretendere di ignorarlo è volersi ingannare da sé. Cercavo di evitare il problema, facendo finta di essere cieco e sordo, e ripetendomi che io appartenevo all’ideale “Chiesa Indivisa”. La mia posizione era molto peccaminosa.
Anzitutto la Chiesa Indivisa esiste ancora: in altri termini la Chiesa Ortodossa. In secondo luogo perché quel sentimento di essere membro della “Chiesa Indivisa”, che io consideravo così cristiano e così irenico era invece un grave peccato di superbia. In pratica io mi ponevo al di sopra di patriarchi e papi. Credevo di essere uno dei pochi che veramente capivano la “Verità”, al di là di “vecchie e sterile polemiche”. Mi sentivo in diritto di chiedere l’Eucarestia tanto ai Romani quanto agli Ortodossi, e mi sentivo ingiustamente bistrattato quando questi ultimi me la negavano. Ho un gran debito di riconoscenza verso un Sacerdote che, in quel periodo, rifiutò di darmi la Comunione. Anziché parlare dolcemente di “impedimenti canonici”, come se la faccenda fosse un problema meramente burocratico, mi disse a muso duro: “Se è vero che ti consideri Ortodosso, perché continui ad appartenere all’eresia?” Io rimasi profondamente scioccato da queste parole, e per molto tempo non ritornai più in quella chiesa. Ma aveva ragione lui. Che enorme peccato di superbia era il mio! Io avevo “capito” quello che per secoli Santi, Padri, Vescovi, Sacerdoti non avevano capito. Secondo me lo scisma tra Oriente ed Occidente era un tragico “malinteso” basato solo su motivi politici e sulle elucubrazioni dei teologi. E così accusavo indirettamente tante Sante persone di ristrettezza mentale, di calcolo, di superficialità e di bigottismo. E scambiavo tutto ciò per carità cristiana…
No, B. E’ impossibile essere cattolici Romani e Ortodossi allo stesso tempo. Il rito non è poi così importante. In fin dei conti i Latini sono stati Ortodossi di rito occidentale per diversi secoli. Sono d’accordo con te che, nonostante la separazione, Romani e Ortodossi hanno ancora molto in comune, ma ciò non basta per considerarli oggi parte della stessa Chiesa. Al di là delle ben note differenze dottrinali c’è proprio l’approccio al Soprannaturale, la vita stessa nella Chiesa che rende impossibile vivere le due realtà religiose allo stesso tempo. Nel Credo noi dichiariamo: “ e (credo) nell’Unica, Santa, Cattolica e Apostolica Chiesa”. Finchè non ci sarà unità di fede esse saranno due chiese. La teoria (affermata anche dal papa Giovanni Paolo II) che Romani e Ortodossi sono ancora la stessa unica Chiesa (nonostante lo scisma, e in modo misterioso) suona bene, ma non regge. Si basa solo su belle parole. Sì, lo so, che “il dialogo teologico” è stato avviato, ed è addirittura possibile (tutto è possibile al Signore) che alla fine si raggiunga l’unità. Ma attenzione! Molti buoni Romani credono che le differenze potranno essere risolte mediante una geniale formula che, per la sua genericità, risulti accettabile alle due parti. Raggiunto poi l’accordo su questa formula ognuno la interpreterebbe secondo il proprio intendimento, mantenendo di fatto le proprie opinioni. Ancora peggio, alcuni propongono che l’unità venga fatta nella diversità, senza un impegno formale di fede da alcuna parte, ma sotto l’universale coordinamento del papa di Roma. Ebbene, tutto ciò è impossibile. I Padri ci hanno insegnato che l’accordo sulla fede comune dev’essere univoco e inequivocabile. L’Ortodossia segue lo spirito della Legge, piuttosto che la lettera. E poiché è impensabile che la Chiesa Ortodossa introduca nuove dottrine, spetta ai Romani abbandonare un millennio di innovazioni e ritornare senza riserve alla fede della Chiesa Cattolica ed Apostolica. Questa è l’unica piattaforma possibile per un accordo. La storia ha già dimostrato la fallacia di unioni basate altrimenti.
E ora lascia che ti ponga una domanda banale: B., il papa è infallibile (“di per se stesso e non per il consenso della Chiesa”, come specifica il dogma del 1870), o no? Non può essere contemporaneamente fallibile e infallibile, come accadrebbe se le due chiese fossero ancora parte della stessa Chiesa. Una delle due deve sbagliare. “Ma il Vaticano II ha permesso ora una gran libertà di opinioni…”, potresti rispondermi. Questo è un sofisma. La vera Chiesa non può cadere in errore. Se tu credi che la tua chiesa abbia sbagliato, o che in atto sbagli, neghi che sia la vera Chiesa.
Ti abbraccio con immutata amicizia e amore in Cristo.

Chapel Hill (U.S.), Marzo 1982                                                                      Gregorio

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