mercoledì 2 dicembre 2009

Balcani

Benvenuta, Albania

Il 16 novembre il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato formalmente la domanda di adesione dell’Albania. Il columnist del Guardian Peter Preston elogia un paese in cui l’energia e la sensazione di progresso “ti prendono alla gola”.
In quale altro posto sulla terra l’88 per cento della cittadinanza di una nazione è disposta a unirsi a noi (e a Herman Van Rompuy), entrando a far parte del club meno accogliente al mondo? Lasciate perdere Bruxelles e guardate a sud. Andiamo in
Albania, perché potrebbe rivelarci qualche scomoda verità. L’Albania? Beh, sì. La sua economia quest’anno è cresciuta (del 2 per cento) mentre quella della maggior parte del pianeta è in recessione. Il suo sistema politico è in pieno subbuglio dalle elezioni di giugno, perse dai socialisti per così poco che essi boicottano ancora il parlamento, riempiendo le strade di Tirana di manifestanti. Malgrado tutto, però, la settimana scorsa l’Albania ha ottenuto l'autorizzazione formale a negoziare il proprio ingresso nell’Ue.
Per Tirana il coronamento di anni di sforzi potrebbe dunque essere imminente, forse già tra un paio di anni (e con un supporto dell’88 per cento di una popolazione in costante crescita). Quando il presidente albanese Bamir Topi prospetta la sua “visione” si capisce che conduce dritta dritta alle strade di mattoni gialli di Bruxelles. E visitando Tirana si scoprono un nuovo aeroporto, strade piene di negozi, bar a ogni incrocio, colossali condomini che cancellano il profilo della capitale. Soltanto le buche sono rimaste uguali.
C'è una sensazione di energia e di progresso che ti prende alla gola. Questo paese piccolo e povero, con un discutibile passato stalinista alle spalle, è infatti in procinto di trasformare i suoi 17 anni di libertà in qualcosa di considerevole. Volete sapere se ci sono corruzione e altri peccati mortali? Certo. Il parco macchine locale è costituito in buona parte da Mercedes. Ma questo è soltanto un aspetto di un quadro che comprende resilienza, gentilezza e buonumore. Se questo sarà il ventottesimo o il ventinovesimo stato dell’Unione, allora c’è di che festeggiare la forza di un’idea che dura nel tempo e che in Europa occidentale ormai non riusciamo più neanche a immaginare.
Una risposta per i BalcaniChe cosa vede quell’88 per cento della popolazione albanese, quando si guarda intorno? Problemi in ogni direzione, nord, sud, est, ovest. Croazia e Slovenia hanno ingaggiato un deleterio battibecco sui confini marittimi. La Bosnia è in preda a una perenne instabilità, soprattutto ora che i suoi bilanci iniziano a venire alla luce. La Serbia, nonostante un presidente un po’ più assennato, è tuttora minacciata dal suo nazionalismo di vecchia data, mentre il Kosovo è un disastro etnico in procinto di esplodere. Se poi ci buttiamo dentro altri due paesi irritabili come Macedonia e Montenegro, ci sono buoni motivi per temere che l’intera regione possa precipitare nuovamente nel caos.
L’Ue è la prima risposta che viene in mente agli osservatori locali. Rendeteci più sicuri. Dateci un ambiente stabile nel quale lavorare. Aiutateci a sentirci qualcosa di più di un guazzabuglio mal assortito ai margini del continente. E lasciateci la sensazione che se faremo i progressi che ci chiedete saremo ricompensati.
È una ragione per guardare lontano, per spingere lo sguardo da Tirana a Londra e tremare. Un’Unione di 34 o più paesi? Arriverà, nonostante le risatine. E se vi serve un sogno da accarezzare, andate in piazza Skanderbeg a Tirana e cercate un po’ di speranza tra una buca e l’altra.
Peter Preston

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