venerdì 24 giugno 2011

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A QUANDO LO SVATICANAMENTO DELL’ITALIA ?

di Giordano Bruno Guerri  [1]
Copertina del libro: “Gli italiani sotto la chiesa”
Arturo Carlo Jemolo, storico cattolico dotato di ironia e di spirito laico, scriveva in una lettera privata del giugno 1948, dopo le elezioni che dettero inizio ai predominio democristiano: « Se gli italiani avessero una certa elasticità mentale, mi farei fautore di -   un movimento per la restituzione di Roma al Papa e per riportare la capitale a Firenze. (...) Il Papa ha bisogno di un suo Stato; se no tutta l’Italia diventa Stato pontificio ». La Chiesa ha sempre considerato l’Italia come un proprio territorio irrinunciabile, spazio vitale dal quale svolgere la sua missione. Trattandosi di una missione universale e spirituale, non sempre gli interessi della Chiesa hanno coinciso e coincidono con quelli degli italiani e delle loro organizzazioni statali: una presenza eccessiva della Chiesa ha spesso danneggiato, danneggia e danneggerà gli italiani.
     La prima tesi di Machiavelli — sul ruolo avuto dalla Chiesa nel ritardare di secoli la formazione di uno Stato nazionale — è già stata abbondantemente dimostrata, e le conseguenze peggiori (di cui risentiamo tutt’oggi) si sono avute dopo il Cinquecento, quando l’Italia non ha più potuto reggere il confronto con le grandi nazioni europee, unificate e laiche. Tanta parte della riottosità degli italiani allo Stato viene dall’esperienza dello Stato Pontificio come unica organizzazione centralizzata e duratura.
     E più complesso valutare l’attualità della seconda tesi di Machiavelli, per cui la Chiesa avrebbe reso gli italiani « senza religione e cattivi ». Anche ai suoi tempi era una tesi paradossale, perché grazie soprattutto alla Chiesa gli italiani avevano potuto conservare parte della cultura romana, vivere un superiore messaggio morale, assorbire le invasioni barbariche e uscire per primi dal Medioevo, con tutte le ottime conseguenze che ne derivarono. Ma, fra Duecento e Quattrocento, in un’Italia in piena crescita civile, la Chiesa non riuscì più a mantenere il controllo integrale sulla società e su se stessa. Gli scandalosi esempi di corruzione e immoralità del papato, dell’alto e basso clero fecero perdere agli italiani il rispetto per i rappresentanti di Dio: da qui quella caduta del sentimento religioso e della morale che Machiavelli individuò nei suoi contemporanei.
     Il peggio però doveva ancora venire. Finché la Chiesa condivideva la peccaminosa vita del mondo, contribuì allo slancio di rinnovamento, alla ricerca della bellezza, alla crescita civile. Dopo la Controriforma invece ha sempre cercato di impedire trasformazioni sociali e culturali sostanziali, dichiarando di possedere già tutte le verità, immutabili, sufficienti e indiscutibili, al di fuori delle quali non esistono valori apprezzabili. L’indice e l’Inquisizione sono soffocamenti premeditati del Paese. Abbarbicata immobile in Italia, mentre il mondo occidentale del XVI secolo è in frenetico movimento, la Chiesa blocca ogni libertà morale e intellettuale, la voglia di scoprire, lo slancio alla modernità degli italiani, e ferma in modo probabilmente definitivo il loro ruolo di guida della civiltà laica.
     La secolare — opportunistica e reciproca — compromissione tra intellettuali e Chiesa ha decapitato e screditato la cultura e danneggiato anche la religiosità, frenando lo sviluppo culturale dello stesso cattolicesimo. L’alleanza millenaria della Chiesa con il potere civile ha fatto della religiosità un elemento di obbedienza e di ordine ben al di là dei dettami delle Scritture. Quando poi lo Stato e gli intellettuali si sono contrapposti al potere religioso — sulla spinta delle conquiste del pensiero laico (non italiano) e di esigenze politiche non più rinviabili (l’unità) — la Chiesa si è trincerata ancora di più dentro se stessa: con il dogma dell’infallibilità papale e la proibizione ai credenti di partecipare alla vita dello Stato ha rinnovato la scissione del cittadino fra coscienza cristiana e dovere civile. Non è un caso che, nell’epoca moderna, la Chiesa abbia avuto la più stretta e felice alleanza politica con il fascismo, con il quale condivide « il sostanziale disprezzo e pessimismo sull’uomo come essere sociale, sempre da guidare, da correggere, da costringere e da limitare, la sfiducia quindi per ogni forma di discussione e di ricerca, per ogni atteggiamento che non fosse di obbedienza e di sottomissione» (Miccoli). (…)
     Per secoli la Chiesa ha scandalizzato gli italiani, e per altri secoli li ha costretti a un rigore irrazionale e eccessivo. Si è creato così un diffuso anticlericalismo, anche nei fedeli.
     E scomodo avere poca stima del clero? praticando una religione in cui il rapporto con il divino è mediato dai sacerdoti, e in uno Stato in cui credenti e non credenti devono fare i conti con il clero più potente del mondo occidentale. (…)
     La Chiesa, da parte sua, ha assorbito vizi e virtù degli italiani, in un condizionamento reciproco che ha fatto della religione una caratteristica subculturale, più che un’adesione di fede.
     Preservando l’Italia dalle eresie (ovvero da letture diverse, critiche, personali della Bibbia), la Chiesa ha dato agli italiani una religione senza slanci e senza tensioni, vincolata dalla gerarchia, dal catechismo e dai dogmi, formale, senza dialettica e senza rimeditazione, superstiziosa e paganizzante nel culto dei santi, scenica e emotiva, piena di compromessi e di abitudini, in cui anche i credenti non mettono troppo impegno nel rendere la propria vita coerente con la propria fede; o, nei casi peggiori, applicano una razionalità da contabili, il dare ora per avere poi, con un investimento nel quale non si ha troppa fiducia ma che apparentemente non comporta troppi sforzi, a parte quello — micidiale e spossante — di non poter pensare con la propria testa per essere considerati qualcuno con la testa sulle spalle. Tutto ciò conduce a un opportunismo che dalla religione si estende ai rapporti sociali e che coincide perfettamente con la maggiore caratteristica nazionale, quella « furbizia » che è stata necessaria nel corso dei secoli per sopravvivere al triplice dominio del potere locale, del potere straniero e del potere chiesastico. Gli italiani hanno generalmente deciso di fingere obbedienza e poi fare come gli pare, sviluppando un’ipocrisia collettiva che non ha uguale neanche negli altri paesi cattolici.
     Contraddizioni e contrapposizioni, doppie morali e messaggi divergenti sono caratteristiche della Chiesa che si sono riversate nella società italiana di ogni tempo: predicazione di umiltà e povertà e ricerca di potere e ricchezza; violenze in nome di Dio; proclamazioni di infallibilità ed errori immensi e palesi; teorica difesa della dignità dell’uomo e soffocamento delle sue più elementari libertà intellettuali.
     Per secoli abbiamo avuto tanta Chiesa e poco Stato, tanti maestri di morale e pochi maestri morali. Per secoli metà degli italiani hanno passato la vita ad amare la Chiesa e l’altra metà ad odiarla, ma non era possibile per nessuno vivere contro la Chiesa, e per secoli gli italiani l’hanno edificata e hanno cercato di abbatterla, in una schizofrenia che si ripercuoteva nella vita pubblica e in quella privata. Finché — constatato che non è possibile nè abbatterla né farne a meno — si è arrivati a un tacito accomodamento. Gli italiani hanno imparato a convivere con una doppia morale, necessaria per conciliare l’esistenza eterna con quella quotidiana, i peccati con i desideri, l’apparenza con la realtà, la morale con il moralismo. Questo tipo di cattolicesimo è penetrato a tal punto nell’organismo della cultura e della società nazionale da fare dell’Italia un paese non più di guelfi e di ghibellini, ma di guelfi-ghibellini e di ghibellini-guelfi: fra gli italiani è difficile trovare dei veri laici, perché ogni aspetto della vita privata e sociale è profondamente segnato dalla tradizione e dalla formazione cattoliche; allo stesso tempo la religiosità di gran parte dei credenti è priva di spiritualità e ormai poco disposta a seguire la Chiesa in molte delle sue posizioni. E un fenomeno che si è formato lentamente nel corso dei secoli, ma che da qualche decennio ha assunto aspetti eclatanti: i clericofascisti, i catto-comunisti e i democristiani sono esempi drammatici di quanto sia difficile sciogliere il nodo e formare vere coscienze laiche, vere coscienze cristiane. (…)
     Ha pienamente ragione Machiavelli: siamo un popolo « sanza religione >> perché la Chiesa cattolica, dopo avere impedito altre scelte e ogni contatto diretto con il divino, non è mai stata abbastanza degna di rappresentarlo, nè abbastanza sicura del proprio messaggio da rinunciare al potere politico.
     Quanto all’essere cattivi, il concetto di cattiveria coincide - a dimostrazione del successo della Chiesa - con quello religioso. Per cui sì, gli italiani saranno « cattivi » fino a quando, fingendo di essere cristiani, saranno cattolici senza via di scampo e senza Stato.
 
NOTA
 
[1] Conclusioni” tratte dal libro di Giordano Bruno Guerri (storico e giornalista italiano), Gli italiani sotto la Chiesa. Oscar Storia Mondadori – 14 ristampa – anno 2007).

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