lunedì 28 febbraio 2011

Dal sito della Chiesa Ortodossa Russa

Il metropolita Hilarion incontra il Segretario generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese

Il 23 febbraio si è svolto a Ginevra l’incontro del metropolita Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne della Chiesa Ortodossa Russa, col Segretario generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC), il pastore Dr. Olav Fykse Tveit.
All’inizio dell’incontro, valutando i risultati della seduta del Comitato centrale del CEC, svoltasi il giorno prima, il metropolita ha espresso la propria preoccupazione per il fatto che spesso le Chiese protestanti sono rappresentate nelle sedute del CEC da delegati appartenenti alle frange più liberali, il che non riflette la situazione oggettiva del mondo protestante.
Nel corso della discussione, il Dr. Tveit ha ringraziato il metropolita Hilarion per l’accoglienza riservatagli dalla Chiesa Russa nel corso della sua visita in Russia nel giugno 2010. Ha espresso un’alta valutazione dell’impegno sociale della Chiesa Russa, che ha potuto apprezzare nel corso della visita. Ha detto di essere stato fortemente impressionato, trovandosi al poligono di Butovo, il “Golgota russo”, dove migliaia di persone furono uccise per la fede, e dove ora sorge una chiesa dedicata ai neomartiri e confessori russi. Ha sottolineato che la Chiesa Russa ha una preziosa esperienza di vita in uno stato aggressivamente ateo e che sarebbe utile che potesse far partecipi le altre Chiese di tale esperienza vissuta.
Sono state discusse le possibilità di collaborazione futura, in particolare si è parlato del sostegno ai cristiani del Medio Oriente e alle comunità minoritarie di vari Paesi che vivono in zone di conflitto. Il presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca e il Segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese hanno convenuto che le attività comuni in questa direzione e l’impegno in favore della pace e della giustizia possono veramente riavvicinare i rappresentanti delle diverse tradizioni cristiane.
All’incontro ha partecipato l’arciprete Michail Gundjaev, rappresentante del Patriarcato di Mosca presso il CEC.

domenica 27 febbraio 2011

Dal sito: Albanianews

Onufri, il Maestro nella pittura albanese del XVI secolo


Onufri, il Maestro nella pittura albanese del XVI secolo  
Museo Iconografico di Onufri, Berat
 
Onufri  è stato un pittore albanese del XVI secolo, conosciuto per le sue icone di stile bizantino. Dipinse anche ritratti, paesaggi e chiese.
Gli anni in cui nasce sono tumultuosi, gli Ottomani avevano conquistato l’Albania con Maometto II dopo la morte dell’eroe nazionale Skanderbeg, che era riuscito a mantenere la sua nazione unita e indipendente fino a quando fu in vita.
Sotto la dominazione Turca gran parte della popolazione si converti alla religione islamica. In questo contesto, Onufri, dipinse soprattutto icone che contenevano un forte senso di affermazione e resistenza all’invasore Ottomano sia in senso patriotico che in senso religioso.
Del pittore sono conosciuti solo pochi fatti soprattutto gli spostamenti che fece in terra albanese, egli infatti fino al 1547 dipinse a Berat successivamente si trasferi a Kostur e dal 1555 si trasferì a Shelcan vicino Elbasan per finire la sua carriera nel villaggio di Valsh. Nel periodo in cui dipinse, ebbe la carica di Protopapa, carica ricevuta per meriti intellettuali, e grazie al suo carisma divenne una delle piu` alte sfere della chiesa bizantina.
Fondò anche una scuola per la pittura delle icone, che in seguito fu portata avanti dal figlio Nicola e dai suoi seguaci Onufri Kiprioti e Konstantin Shpataraku. La sua pittura fuoriesce dai canoni dell'arte sacra bizantina, molto legata a schemi e regole rigide, egli libera la sua pittura da queste briglie e compone opere piu` innovative per la sua epoca, inserisce paesaggi urbani e vedute bucoliche ma anche personaggi reali, in un suo San Giorgio e il drago egli rappresenta Skanderbeg contro i Turchi.
Questa sua tecnica realistica si collega direttamente con il movimento rinascimentale sia Italiano che europeo, egli riesce a dare una rappresenta anche della vita interiore dei suoi personaggi, umanizzandoli, rendendoli meno distanti dallo spettatore che osserva l’opera.

sabato 26 febbraio 2011

Un GRAZIE di vero cuore al mio Confratello e Concelebrante, Padre Ambrogio, della nostra Chiesa Ortodossa Sorella di Torino.


Grazie a P. Ambrogio, la nostra Chiesa Parrocchiale di Castrovillari, si è arricchita di un un altro prezioso pezzo, il candelabro a sette lumi, che dietro l'altare fa un figurone indescrivibile. E' arrivato a noi grazie anche al mio compaesano Salvatore, emigrato a Torino e che in questi giorni è sceso al suo paesello.


 













mercoledì 23 febbraio 2011

Dalla Chiesa Ortodossa Russa

Commissione preparatoria interortodossa riunita a Chambésy

Dal 22 al 26 febbraio 2011 si svolge al Centro ortodosso del Patriarcato di Costantinopoli di Chambésy (nei pressi di Ginevra, Svizzera), la seduta della Commissione preparatoria interortodossa, nel quadro della preparazione del Grande e Santo Concilio della Chiesa Ortodossa. Ai lavori della Commissione partecipano i rappresentanti di 14 Chiese ortodosse autocefale.
Secondo quanto stabilito dal Sacro Sinodo della Chiesa ortodossa russa, la delegazione del patriarcato di Mosca è guidata dal presidente del Dipartimento per le relazioni esterne, il metropolita Hilarion. Della delegazione fanno inoltre parte l’arcivescovo Mark di Berlino, della Germania e della Gran Bretagna (Chiesa ortodossa russa all’estero) e, in qualità di consulente, l’arciprete Nikolaj Balashev, vicepresidente del Dipartimento per le Relazioni esterne.
All’ordine del giorno, le questioni legate allo stabilimento della procedura per l’ottenimento dell’autocefalia, e il tema dei Dittici.

martedì 22 febbraio 2011

Dal nuovo sito: katundetarbereshe.jimdo.com

Visto nei fatti la silenziosa scomparsa sempre più evidente della tradizione religiosa (bizantina) degli Arbëreshë a favore di un processo di forte accelerazione verso la latinizzazione e di sempre più sottomissione all’obbedienza papale, pubblichiamo, per gentile concessione della rivista arbëreshë di Makij (Macchia Albanese) l’intervento del papàs Demetrio Braile (allora sacerdote della comunità arbëreshë di Santa Sofia d’Epiro) o per meglio dire la sua Relazione del 29 agosto 2003, durante i lavori del Sinodo Intereparchiale della Diocesi Arbëreshë di Lungro (in San Cosmo Albanese) in presenza dell’allora vescovo Ercole Lupinacci, del vicario vescovile, dei sacerdoti e fedeli provenienti dalle varie parrocchie componenti la diocesi. Con grande coraggio e rispetto dovuto al popolo di Dio leggeva la seguente:
 
 
Relazione circa la Consultazione delle Bozze
per il Sinodo Intereparchiale.
 
 
di p. Demetrio Braile
La comunità Arbëreshë di San Cosmo Albanese (in provincia di Cosenza)[foto tratta dal sito: www.albanologia.unical.it]
<< Sembra che la nostra Diocesi abbia ricevuto una speciale missione che è quella di fare Sinodi e Intersinodi legiferando con norme e decreti, i quali non so che effetto hanno sul popolo di dio e sul clero stesso! Sono passati ben 7 anni dal 1996, ma se andiamo più indietro saranno forse 15 anni che tra Acquaformosa [1] e San Cosmo Albanese ripetiamo le stesse cose facendo solo belle parole! Dico questo perché il miglior giudice “nostro” è il popolo di Dio, il quale capta e capisce se nelle parrocchie c’è un lavoro serio, ordinato e preciso in comunione d’intenti e di voleri con la Diocesi tutta. Il popolo capta e rimane disorientato dal disordine liturgico e pastorale che c’è in giro! Tanta gente lamentandosi mi ha detto: “Ju Zotra bëni vet fiala!” (Voi sacerdoti fate solo parole).
     Da questo mi viene spontaneo pensare dire che il Sinodo Diocesano non ha portato alcun rinnovamento sia nell’ambito liturgico, sia nell’ambito pastorale (da 6 anni che sono prete non ho mai visto un piano pastorale: Icone, Parola di Dio, Sacramenti, Spiritualità, liturgia, ecc…), come non ho mai sentito parlare di una pastorale giovanile seria e precisa. Cosa facciamo per la gioventù?
   Se dico questo è perché ne ho le prove: solo alcuni preti vengono presi di mira e bersagliati con lettere, mentre in parrocchie dove i vespri della domenica e delle feste, normalmente vengono omessi o peggio ancora quando in coincidenza con le grandi feste Dispotiche e Theomitoriche si fanno Messe funebri. Non c’è potenza di preghiera! Non c’è spirito ortodosso! (Il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, in una intervista, parlando delle comunità uniate, giustamente dice che si tratta solo di osservanza ritualistica!).
     Non si prende nessun provvedimento (catechesi, battesimo, matrimonio, lettura del Vangelo), tutto tace, tanto arriva il Sinodo Intereparchiale e ci mette a posto! (voglio ricordare a tutti l’opera di padre C. e padre A., prodromi della Liturgia Ortodossa in Diocesi). Se noi preti non ci diamo una regolata di quel che vogliamo fare uniformemente e in comunione d’intenti e di voleri, la situazione non cambierà mai, siamo bravi a parole di parlare di comunione e di amore, ma nella pratica viviamo in tutt’altro modo. Non c’è fraternità tra preti, non c’è fraternità tra Vescovo e Preti (vedi per esempio padre C. e padre V.)
e la mancata fraternità porta ad andare a “pesca” di preti nell’est-europeo per rimpiazzare i “buchi”!.
     La nostra salvezza, il nostro tesoro da custodire è la Liturgia, la Parola, la Catechesi. Se non mettiamo
al primo posto queste tre cose, tutto quello che cerchiamo di organizzare e fare risulta sterile ed inefficace per il bene delle anime. I nostri antenati e Padri Arbëreshë, parlo di quelli dell’esodo biblico sbarcati nel XV secolo erano ortodossi: altro che il Concilio di Firenze che risulta un falso storico e una falsa unione!. I nostri Padri ci hanno consegnato questi tesori in un unico tesoro: la Liturgia. So benissimo cosa evoca e provoca questa parola Ortodossi-Ortodossia, ma non posso e non dobbiamo fare come lo struzzo, che nasconde la testa sotto la sabbia per non vedere e non sentire, quello che ormai tutti vedono e tutti benissimo sentono, perché forse disturbatore del quieto vivere della vita insipida dei nostri tempi, senza cioè quel “sale” che cristianamente parlando da sapore alla nostra vita, che cristiana voglia dirsi! Quel che ho detto non è farina del mio sacco, riporto quanto è stato scritto dal nostro amato e compianto papà Sepa (Giuseppe Ferrari), testimone autentico della verità storica sugli Arbëreshë, sulla loro fede e sulla loro vera identità religiosa. Quindi ortodossi quello che eravamo e “cattolici di rito greco” quello che nel corso dei 500 anni siamo diventati. Gli ortodossi seri e competenti fanno distinzione tra le Chiese “Uniate” e la “Chiesa Arbëreshë”; in quanto non viene messa alla pari di tutte le Chiese Uniate! Speriamo di mantenere alto questo vanto e di non metterlo sotto i piedi con il nostro agire e parlare da “Uniati”.
     Dopo questo preambolo veniamo all’InterSinodo, la consultazione è iniziata con la Grande Quaresima coinvolgendo più famiglie possibili, esponendo loro quelle Bozze che riguardano le Catechesi, la Liturgia e la Mistagogia. Il metodo che si è usato è partire dall’esperienza (forse la parrocchia di Santa Sofia d’Epiro è una delle poche, in cui si è curato bene il primato della Parola e della Liturgia), io peccatore indegno ho cercato di valorizzare al massimo e dare il primato assoluto alla Parola-Catechesi-Mistagogia e alla vita Liturgica autentica, e quindi non “ritualistica”. In sostanza il popolo di Santa Sofia d’Epiro è ben disposto e accoglie tutto ciò che è positivo e bello! Si, e ben venga la Catechesi sul Vangelo, gli incontri biblici (noi lo facciamo da ben 5 anni); Si, alla preparazione per il Battesimo e il Matrimonio. Questo Sinodo deve assolutamente portare:
 
1. L’Uniformita liturgica;
2. Le Quaresime in tutte le parrocchie, altrimenti è un fallimento;
3. Battesimo per immersione;
4. Cresima e Comunione;
5. Fidanzamento e Incoronazione non separati, ma in un’unica celebrazione.
 
Questo Sinodo deve dare inoltre norme chiare e precise sulle pratiche latine, le quali non fanno parte della nostra Tradizione. Per esempio:
 
1. Il Corpus Domini;
2. Il Rosario;
3. Il Mese di Maggio;
4. Il sacro Cuore di Gesù e Maria.
 
Le suddette pratiche devono essere spiegate e il Sinodo, massima autorità, deciderà in merito! Se non avverrà ciò che è stato citato e non ci saranno dei cambiamenti allora, altro fallimento! Si, alla sostituzione delle statue con le ICONE, noi la stiamo attuando per esempio in contrada Gaudio, in Santa Sofia d’Epiro!
     Qui finisce il mio intervento. Da parte mia, per concludere, mi permetto di aggiungere un adagio tanto amato sia dai Padri antichi che dai Padri moderni, caro a tutta la Tradizione Cattolica-Ortodossa, ripetendo le parole di san Paolo: “Dite la verità nell’amore perché l’amore si compiace della Verità”. Forse o di certo, mi si contesterà e mi si rimprovererà di parlare con poco amore, ma mi chiedo e chiedo a voi, popolo cristiano “crocifisso”, Chiesa “uscita dal sangue e acqua del costato di Cristo”, Chiesa di Lungro, “Nuova Evaè amore mentire? E’ amore, come ci amano ricordare i Padri parlare con linguaggio “doppio e mellifluo”? Non credo! Credo anzi che il più grande atto di carità sia dire la Verità!
     Solo così, ossia trasformando gli incontri tra credenti nel Cristo, da diplomazia dello “sbaciucchiamento” a confronto per il “Pentimento”, alla luce della testimonianza degli Apostoli, dei Padri Divini, solo così metteremo insieme qualcosa di positivo; altrimenti faremo solo molto chiacchiere, a discapito della salvezza delle Anime, le quali attendono da questa Diocesi il cibo “Epusion”, e non parole ma fatti!!! Grazie! >> [2]
 

[1] Paese Arbëreshë in provincia di Cosenza;
[2] Articolo apparso in “Historì e Vërtete” (Storia e Verità) – Periodico unico - Anno 1 - n. 1 – 2003.
 

lunedì 21 febbraio 2011

Dal sito cattolico: Zenit.org

Incontro Papa-Medvedev, guardando al Patriarcato
L'atteso incontro fra Benedetto XVI e Cirillo I deve attendere ancora
di Paul De Maeyer

ROMA, domenica, 20 febbraio 2011 (ZENIT.org).- Giovedì 17 febbraio, Benedetto XVI ha ricevuto in udienza il presidente della Federazione Russa, Dmitrij Medvedev. "Benvenuto presidente, questo nostro incontro è molto importante", ha detto il Papa salutando il capo di Stato russo. Parole che hanno messo in risalto il significato della visita, la prima di Medvedev dopo l'instaurazione di relazioni diplomatiche piene tra la Santa Sede e la Russia.
La tradizionale nota diffusa dalla Sala Stampa vaticana dopo la visita ha usato toni positivi per descrivere il secondo incontro tra Papa Ratzinger e Medvedev (il primo era avvenuto il 3 dicembre del 2009). "Nel corso dei cordiali colloqui - dice il breve testo - ci si è compiaciuti per i buoni rapporti bilaterali e si è sottolineata la volontà di rafforzarli, anche in seguito all’allacciamento dei pieni rapporti diplomatici". "Si è riconosciuta - continua - l’ampia collaborazione tra la Santa Sede e la Federazione Russa sia nella promozione degli specifici valori umani e cristiani, sia in ambito culturale e sociale. Successivamente si è rilevato il contributo positivo che il dialogo interreligioso può offrire alla società" (Vatican Information Service, 17 febbraio).
Il comunicato riflette lo straordinario processo di avvicinamento tra il più grande paese del mondo per estensione geografica e il più piccolo, avviato il 1 dicembre 1989 con la storica visita a Giovanni Paolo II dell'allora (ed ultimo) segretario generale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica (PCUS), Mikhail Gorbaciov, l'uomo della "perestrojka" e della "glasnost". Questo percorso di avvicinamento è culminato l'estate scorsa nello scambio di ambasciatori.
Ma mentre dal primo incontro fra un capo di Stato russo e un Pontefice romano sono trascorsi ormai più di vent'anni, quello fra il capo della Chiesa cattolica e quello della Chiesa ortodossa di Russia si fa attendere. Anzi, sotto il precedente patriarca di Mosca e di Tutte le Russie, Alessio II, i rapporti tra Roma e Mosca erano alle volte addirittura gelidi. Il grande sogno di Papa Giovanni Paolo II di poter incontrare Alessio II - se necessario persino su terreno "neutrale" - non si è mai avverato a causa del "niet" del patriarca.
Alessio II, originario di Tallinn, in Estonia, diffidava del primo Pontefice slavo della storia ed era estremamente critico nei confronti del "proselitismo cattolico" nelle terre dell'ex Unione Sovietica (URSS), alla cui dissoluzione Papa Wojtyla contribuì a modo suo. In un'intervista pubblicata nel settembre del 2002 sul settimanale Famiglia Cristiana, Alessio II chiamò la decisione della Santa Sede di trasformare in diocesi le amministrature apostoliche una "spiacevole decisione" e "solo una delle manifestazioni della vasta strategia espansionistica della Chiesa di Roma". "La parte cattolica cita sempre la presenza in Russia di un’enorme quantità di 'non credenti' che costituirebbero una specie di terreno propizio alla missione, una massa che sta in perenne attesa dell’arrivo degli 'operatori' cattolici, seminatori e mietitori. È un’idea inaccettabile per la Chiesa ortodossa", afferò il patriarca.
Un'altra spina nel fianco del patriarcato di Mosca erano gli sviluppi in Ucraina, dove il crollo dell'URSS aveva permesso la rinascita della Chiesa greco-cattolica. Quello che ha mandato su tutte le furie il mondo dell'ortodossia era il piano di elevare a rango di patriarcato la Chiesa greco-cattolica d'Ucraina. Nel novembre 2003, il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I mandò persino direttamente a Papa Giovanni Paolo II una lettera per esprimere il suo forte dissenso ed irritazione.
Un primo cambiamento positivo si è verificato poi con l'elezione al soglio petrino di Benedetto XVI, sotto il cui pontificato non si è più parlato del "nuovo" patriarcato. In un'intervista pubblicata a fine aprile 2005 sul quotidiano moscovita Kommersant, Alessio II ha lodato il Pontefice tedesco per il suo "potente intelletto". "Tutto il mondo cristiano – disse –, compreso quello ortodosso, lo rispetta. Senza dubbio esistono divergenze teologiche. Ma per quanto riguarda lo sguardo sulla società moderna, sulla secolarizzazione e sul relativismo morale, sulla pericolosa erosione della dottrina cristiana e su molti altri problemi contemporanei i nostri punti di vista sono molto vicini" (ANSA, 27 aprile 2005).
Dopo la morte di Alessio II nel dicembre 2008, una seconda svolta è stata l'elezione del metropolita di Smolensk e Kaliningrad, Cirillo, a patriarca di Mosca. Nella sua veste di presidente del Dipartimento per le Relazioni esterne del patriarcato di Mosca, ha incontrato Benedetto XVI in Vaticano ben tre volte in altrettanti anni. L'ultima volta è stata nel dicembre 2007 in occasione della festa patronale della parrocchia ortodossa russa di Santa Caterina d'Alessandria a Roma.
Intervistato da L'Osservatore Romano, Cirillo definì dopo quell'incontro lo stato delle relazioni tra il patriarcato di Mosca e la Chiesa cattolica come "molto positivo". "Nella nostra agenda ci sono tanti temi importanti, penso alla promozione di valori fondamentali per la vita della persona, che oggi preoccupano l'intera umanità e non soltanto la Russia", raccontò (8 dicembre 2007). "Abbiamo bisogno l'uno dell'altro. Non dobbiamo dimenticare che Gesù Cristo ha chiesto l'unità dei suoi discepoli. Noi siamo un'unica famiglia. Condividiamo, infatti, gli stessi valori", aggiunse l'allora numero due del patriarcato di Mosca.
Si tratta di parole molto significative. Così come il Cremlino ha riconosciuto nella Chiesa ortodossa un partner per rilanciare la Russia post-sovietica, alle prese con fenomeni come il calo delle nascite e il flagello dell'alcolismo, illustrano come a sua volta il patriarcato vede la Chiesa cattolica come un alleato nella battaglia contro la crisi dei valori e per annunciare i contenuti del messaggio cristiano in un mondo dominato da un aggressivo laicismo di stampo liberale.
Cirillo ha ribadito la grande sintonia con Benedetto XVI nel rapporto che ha presentato il 2 febbraio 2010 ai suoi vescovi in occasione del primo anniversario della sua intronizzazione. Riguardo alle varie questioni che stanno a cuore a cattolici e ortodossi, "Benedetto ha preso posizioni molto vicine a quelle ortodosse", ha detto Cirillo. "E ciò è dimostrato dai suoi discorsi, dai messaggi, così come dalle opinioni di alti rappresentati della Chiesa cattolica romana con i quali abbiamo dei contatti", ha aggiunto (L'Osservatore Romano, 4 febbraio 2010).
I tempi sembrano dunque più che mai maturi per un incontro o vertice tra Benedetto XVI e Cirillo I, ma questo non vuol dire che avverrà presto. "Forse nell'arco di due anni", ha detto nei giorni scorsi a ZENIT il direttore e fondatore del mensile Inside the Vatican, Robert Moynihan. "Ci sono molte forze che si oppongono a questa alleanza che si sta sviluppando", ha osservato (17 febbraio).
Il primo a temperare l'entusiasmo è stato l'attuale numero due del Dipartimento per le Relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, l'arciprete Nikolaj Balashov. Parlando con l'agenzia Interfax, Balashov ha dichiarato che "la Chiesa ortodossa russa e la Chiesa cattolica romana mantengono un regime di costante comunicazione e consultazioni a vari livelli. E se, nell'opinione di entrambe le parti, arriva il momento per un incontro fra i capi delle due Chiese, lo comunicheremo alla comunità internazionale", ha detto l'esponente ortodosso (17 febbraio). Per Balashov, il contesto delle relazioni fra le due Chiese non va collegato all'incontro di giovedì scorso.

Dal sito:Albanianews.it

Il Bilinguismo: vantaggi e paure di una mente più aperta, comprensiva e tollerante  

Da  Sabrina Monforte


La questione del bilinguismo, di cui poco si parla ma che a molti interessa, in particolar modo in quelle città come Prato divenuta multiculturale per via di un forte concentramento della comunità cinese, albanese, rumena, pakistana ed altre. Risulta interessante investigare sui molti giovani, figli di persone emigrate ma nati e cresciuti nelle città italiane, che si sentono sempre più Italiani che appartenenti alla cultura d’origine dei genitori.

Il meccanismo di sviluppo di un bilingue.

La loro particolare capacità è quella di essere bilingue, ossia di riuscire a esprimersi in una seconda lingua, rimanendo fedelmente aderente ai concetti e a quella struttura grammaticale, senza parafrasare la lingua madre, usandole simultaneamente e a passando da una lingua all’altra senza vera difficoltà, quando gliene si presenti l’occasione.
Esistono varie tipologie di bilinguismo che si possono suddividere in tre categorie: individuale, sociale, collettivo. Il primo si sviluppa, ad esempio, in un bambino i cui genitori sono di madrelingua differente oppure, nel caso in cui i genitori parlino la stessa lingua madre, ma il luogo in cui risiedono è diverso dalla loro nazione, e quindi il bambino sarà portato a parlare la lingua dei genitori, oltre a quella del posto in cui risiede. Quello sociale invece rappresenta una società, dove si parlano due lingue, e possono essere molto diverse tra loro secondo la distribuzione delle sue due lingue, come avviene in Belgio. Mentre il bilinguismo collettivo indica un intero gruppo di persone, che essendosi trasferiti in un’altra nazione, parlano indistintamente due lingue diverse.
Per giungere a un bilinguismo equilibrato, ossia implementare una conoscenza perfetta di una seconda lingua, l’età consigliata per l’apprendimento rientra tra i 0-8 anni, in quanto in questa fascia d’età risulta più facile l’apprendimento della seconda lingua, specialmente nel  corretto uso della grammatica e dei fonemi. Qui i processi cerebrali sono più accelerati, dovuto ad una maggiore plasticità neurofisiologica, circoscritta entro un dato arco dello sviluppo biologico individuale, che favorisce l’apprendimento e lo sviluppo linguistico oltre il quale tale processo diviene particolarmente difficile.
Inoltre il cervello di un bambino riesce ad assorbire in maniera del tutto naturale qualsiasi nozione gli viene posta, e bisogna sfruttare quest’occasione sin dalla sua nascita. Tutto ciò che gli verrà insegnato lo apprenderà in modo naturale, comprese le procedure relative alle diverse lingue senza che vi siano interferenze tra loro. Il bambino è in grado di discriminare tutte le distinzioni fonetiche che possono essere utilizzate dalle lingue del mondo, dintinguendole, anche se si trova ancora nella fase in cui non riesce a parlare.
Il cervello ha un calendario biologico per quanto concerne l’apprendimento linguistico. I complessi meccanismi del linguaggio situati nell’emisfero sinistro del cervello si sviluppano nell’infanzia e nella fanciullezza, prima della pubertà. Il giovane organismo possiede una capacità di acquisizione di nuovi meccanismi linguistici, che l’adulto non possiede più allo stesso grado. Questa “plasticità” del cervello nei primi anni di vita gli permette di imparare due o tre lingue senza che sia più difficile di quanto lo sia l’impararne una. E siccome una lingua si apprende anzitutto acusticamente è consigliato ai genitori di parlare al bambino nella seconda lingua sin dalla sua nascita, anche se ancora non è in grado di parlare nella sua lingua madre.

Quante  “lingue madri”?

Quando il bambino inizierà a parlare nella sua seconda lingua va comunque ricordato che per quanto sia legato ai suoi genitori e alla loro cultura, appartiene essenzialmente al Paese in cui vive. La sua lingua principale è quella della scuola, quella di ‘fuori’, la stessa che probabilmente parlerà di più da adulto. Cercando di rispettare il proprio figlio, il genitore non deve proiettare su di lui i propri desideri, ed è vitale che si riconosca il primato della lingua del Paese d’accoglienza nella vita presente e futura del figlio e un atteggiamento positivo, aperto e stimolante nei confronti dell’apprendimento di entrambe le lingue, ciò gli consentirà di trarre il massimo vantaggio dalla situazione. Se il genitore non accetta che il figlio parli la lingua locale meglio della propria, rischia di creare un problema che avvelenerà l’esistenza del bambino e quella di tutta la famiglia. Il genitore “straniero” deve essere determinato, ma rilassato, e non esercitare pressioni, ma perseverare e sapere che il bambino impara lo stesso ascoltando.
E’ quindi chiaro che la lingua del Paese d’accoglienza in quasi tutti i casi costituirà, per il bambino, uno strumento più raffinato, più elaborato, più efficace della lingua parlata a casa. Ma ciò non vuol dire che il bambino una volta divenuto adulto non possa raggiungere la stessa padronanza della prima lingua anche nella seconda, se l’apprendimento è avvenuto precocemente.
L’influenza dell’ambiente nell’apprendimento linguistico è fondamentale, perché la mente assorbente del bambino si orienta su questo, pertanto deve offrire interesse e attrattive a questa mente che si nutre per la propria costruzione. È dunque importante la modalità con cui l’adulto si accosta alla mente del bambino. Le difficoltà che incontrano i soggetti bilingui sono dovute per di più alle circostanze culturali che costituiscono la trama dell’ambiente del bambino. L’atteggiamento dei genitori e in misura minore quello dei parenti, degli amici e dell’insegnate determinano fortemente il modo in cui il bambino reagisce alle due lingue e a tutto ciò che esse rappresentano. Perciò è indispensabili la comprensione.
Quando il bambino ha l’impressione che uno dei genitori, o il suo maestro, consideri in modo negativo il fatto che impari due lingue, egli sente vacillare la fiducia in se stesso, le sue motivazioni e il suo senso dei valori. Gli effetti negativi si ripercuotono non solo poi sull’uso della lingua, ma anche nei rapporti umani. Tutta la sua personalità rischia di soffrirne perché il bambino impara e assimila una lingua con tutto se stesso (intelletto, emozioni e i sensi), e il suo essere ne esce trasformato. Il conflitto che può sentire tra le due lingue, vivendo in un contesto ambientale non positivo è indice di un conflitto interiore, e iniziare poi a rifiutare una di esse a forza è come rifiutare una parte di se stesso.
E’ la situazione all’origine del bilinguismo che può creare difficoltà in relazione alla famiglia, o tra la famiglia e la società, e il bambino associa inconsciamente tali contraddizioni all’una o all’altra lingua. In compenso, il figlio bilingue di una coppia mista riuscita, i cui due membri rispettano la lingua e cultura dell’altro, arricchirà moltissimo la personalità del figlio. Le due lingue coesisteranno in lui senza conflitto e senza tensioni. Ovviamente ogni caso e individuo rappresentano una situazione a sé, ed è naturale che prima o poi ogni individuo scelga la cultura e la lingua a cui si sente più vicino.

Difficoltà, consigli e soluzioni.

Per chi utilizza una lingua a casa che risulta essere diversa da quella a scuola, a volte può risultare più complesso esprimersi in un racconto, in una o nell’altra lingua, finché il bambino è ancora piccolo. Pertanto il bambino bilingue non è la somma di due monolingui perfetti in una sola testa, perché non ha mai le stesse esperienze e le stesse conoscenze in tutte le lingue che conosce.
Uno degli errori più comuni e più gravi degli insegnati monolingui  è quello di giudicare un bambino bilingue come se conoscesse soltanto una lingua, quella della scuola. In questo caso tutte le difficoltà che i bambini bilingui presentano a scuola, come ad esempio la difficoltà ad esprimersi fluentemente, la difficoltà ad utilizzare i termini più appropriati, la presenza di errori morfosintattici, non vengono considerate come tappe di un apprendimento linguistico di un bambino bilingue, ma come segni di carenze. L’educazione scolastica di un bambino bilingue non necessità misure pedagogiche straordinarie, perché questi bambini, come già detto, sono ‘normali’. Ciò che invece è necessario è una ‘rivoluzione copernicana’ nella formazione degli insegnanti che operano con bambini bilingui, dovrebbero conoscere i principi generali dell’educazione plurilingue.
Per giungere a un bilinguismo equilibrato si deve trasferire l’intera realtà rappresentata nella prima lingua, nella seconda. Sia che la lingua della comunità sia  in parte stabilizzata o meno, l’apprendimento della seconda avverrà almeno in parte comparativamente: con riferimenti e confronti, ai suoni, ai significati, ai costrutti della prima. Tuttavia, non sarà un apprendimento di tipo riflessivo ma un’assimilazione diretta della lingua assorbita continuamente dall’ambiente. In seguito il bambino prenderà coscienza di possedere due sistemi linguistici differenti, non appena si accorgerà di parlare due lingue, con diverse strutture fonemiche e regole grammaticali, allora parlerà l’una o l’altra lingua in funzione dell’interlocutore e del contesto. Nel caso in cui gli interlocutori siano bilingui, il bambino sceglierà la lingua che possiede meglio, nel caso la situazione lo richiedesse, si troverà a fare da interprete per la persona non bilingue.
Non esiste una ricetta globale per ottenere un figlio bilingue riuscito, tuttavia ci sono certi atteggiamenti, situazioni e attitudini più favorevoli di altri. I genitori possono anche decidere di parlare entrambi la lingua straniera con il figlio durante i suoi primi anni di vita perché diventi bilingue, l’importante è parlare al bambino senza mischiare la lingua del luogo con la propria, altrimenti rischia di non imparare correttamente l’uso di una e dell’altra lingua.
Questa soluzione presenta due vantaggi: innanzi tutto rafforza il peso relativo della lingua straniera che nel corso degli anni tende a cedere il posto alla lingua locale, inoltre la lingua straniera acquista prestigio agli occhi del bambino. Un’attenzione particolare va rivolta all’educazione scolastica del bambino bilingue rispetto ai monolingui. Le tappe fondamentali dello sviluppo del linguaggio sono simili nei bambini bilingui e monolingui, ciò che li differenzia è la padronanza e il numero del lessico che il bambino bilingue conosce nelle due lingue.
I vantaggi del bilinguismo sul piano pratico sono numerosi ed evidenti. Le persone bilingui da me intervistate, rilevano che il bilinguismo favorisce la comprensione, la tolleranza e l’apertura mentale nei confronti di altri popoli e di altri costumi; amplia la visione del mondo; permette di sentirsi a proprio agio con tutti i tipi di persone e nelle situazioni più disparate. Inoltre il bilingue possiede due lingue, due culture, due modi di vita, ciò non fa che arricchire la persona.

domenica 20 febbraio 2011

Ancora nessuno vuole comprendere che non sono i preti che si sposano, ma bensì è l'uomo sposato che viene ordinato presbitero. Un'altra male informazione della chiesa franco-latina per buttare fango sulle tradizioni apostoliche. Altrimenti come fa a mantenersi in vita?

Pure il Telegiornale di Minzolini (tg1) scopre l'acqua calda: i sacerdoti greco-cattolici possono sposarsi, ma scopre anche l'insofferenza dei fedeli ad essere guidati da Mons. Tamburrino e da Mons. Nunnari

Preti sposati, è crisi nelle comunità italo-albanesi

Le realtà cattoliche di rito bizantino in Italia sono tutte commissariate dalla Santa Sede: al loro interno, i sacerdoti hanno una compagna, (Una moglie, non una concubina. N.D.R.) come permesso dal diritto canonico orientale.
La Città del Vaticano
ROMA - Attualmente sono tutte e tre "commissariate" dalla Santa Sede le realtà cattoliche di rito bizantino nel nostro Paese, due delle quali hanno nelle loro file preti sposati, come previsto dal diritto canonico orientale. L'eparchia di Lungro, in Calabria, è affidata a un amministratore apostolico, l'arcivescovo di Cosenza Salvatore Nunnari, l'eparchia di Piana degli Albanesi a un delegato apostolico, monsignor Francesco Pio Tamburrino, arcivescovo di Foggia, dal quale dipende anche il monastero basiliano di Grottaferrata. La situazione delle comunità di rito orientale è molto preoccupante anche perché ci sono oggi in Italia tanti immigrati cattolici di rito greco: albanesi, rumeni e ucraini, i cui bisogni spirituali si sommano a quelli delle poche migliaia di eredi delle popolazioni albanesi che nella seconda metà del XIV secolo, incalzate dai turchi, emigrarono in Calabria e Sicilia, dove hanno cercato di mantenere vive le proprie tradizioni all'interno delle diocesi di rito latino fino a quando, nel 1919, la Santa Sede ha concesso l'istituzione della eparchia di Lungro, concedendo quindici anni dopo l'altra diocesi in Sicilia.
LE FRIZIONI NELLE COMUNITA' ITALO-ALBANESI. La lunga attesa per vedere riconosciuti i propri diritti di appartenenti al rito bizantino ha lasciato cicatrici nelle comunità italo-albanesi e oggi c'è turbamento per il fatto che sia l'amministratore apostolico Nunnari che il delegato Tamburrino sono vescovi di rito latino. L'eparca di Lungro Ercole Lupinacci ha compiuto 75 anni nel novembre 2008 e per due anni si è tentato inutilmente di individuare un successore, impresa rivelatasi impossibile per l'esistenza di fazioni contrapposte nel clero locale, con conseguenti veti reciproci che si aggiungono alla difficoltà di scegliere in una rosa ristretta di candidati perché il diritto canonico esclude dall'episcopato i preti sposati che nell'eparchia sono invece la maggioranza.
"NECESSITA' DI RISOLVERE I PROBLEMI". "Sua Eccellenza Nunnari è persona degnissima e stimatissima, ma il suo incarico", hanno protestato amministratori e politici locali riuniti nel municipio di Lungro, "mette in discussione consolidate tradizioni e, per molti versi, l'identità stessa della comunità italo-albanese. Appare infatti incomprensibile che l'interim sia affidato a un vescovo di rito latino, colpendo duramente la sensibilità dell'intera comunità arbereshe. Con la semplicità propria di chi è all'oscuro dei sottili equilibri che regolano l'incedere della Chiesa nelle scelte di affidamento della pastorale, sentiamo l'obbligo morale di chiedere che si arrivi in tempi brevi alla nomina del nuovo vescovo, sentendosene viva esigenza".
mercoledì, 16 febbraio
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Mai avrei immaginato che se le comunità Italo-albanesi fossero in crisi, dal punto di vista religioso, ciò è da addossare ai preti uxorati (sposati). Se le comunità Italo-albanesi vogliono ritornare a rifiorire hanno una sola strada da percorrere: "Ritornare alla loro vera Fede, l'Ortodossia", la fede che portarono in Italia durante il loro migrare, continuando così saranno sempre più preda delle prepotenze dei prelati del Vaticano e non potranno mai dimostrare le loro vere e sostanziali peculiarità. (P. Giovanni Capparelli)

Un articolo su "LA STAMPA" del 16 febbraio riguardo la situazione di subordinazione dei greco-cattolici ai "romani" in stile Tamburrino

PRETI SPOSATI: IN CRISI IL RITO ORIENTALE IN CALABRIA E SICILIA

VATICANISTA DE LA STAMPA


Attualmente sono tutte e tre "commissariate" dalla Santa Sede le realta' cattoliche di rito bizantino del nostro Paese, due delle quali hanno nelle loro file preti sposati, come previsto dal diritto canonico orientale, documenta l'Agi. L'eparchia di Lungro, in Calabria, e' affidata ad un amministratore apostolico, l'arcivescovo di Cosenza Salvatore Nunnari, l'eparchia di Piana degli Albanesi a un delegato apostolico, mons. Francesco Pio Tamburrino, arcivescovo di Foggia, dal quale dipende anche il monastero basiliano di Grottaferrata (i cui monaci sono ovviamente tenuti al celibato). La situazione delle comunita' di rito orientale e' molto preoccupante anche perche' ci sono oggi in Italia tanti immigrati cattolici di rito greco: albanesi, rumeni e ucraini, i cui bisogni spirituali si sommano a quelli delle poche migliaia di eredi delle popolazioni albanesi che nella seconda meta' del XIV secolo, incalzate dai turchi, emigrarono in Calabria e Sicilia, dove hanno cercato di mantenere vive le proprie tradizioni all'interno delle diocesi di rito latino fino a quando, nel 1919, la Santa Sede ha concesso l'erezione della eparchia di Lungro, concedendo 15 anni dopo l'altra diocesi in Sicilia. La lunga attesa per vedere riconosciuti i propri diritti di appartenenti al rito bizantino ha lasciato cicatrici nelle comunita' italo-albanesi e oggi c'e' turbamento per il fatto che sia l'amministratore apostolico Nunnari che il delegato Tamburrino sono vescovi di rito latino. L'eparca di Lungro Ercole Lupinacci ha compiuto 75 anni nel novembre 2008 e per due anni si e' tentato inutilmente di individuare un successore, impresa rivelatasi impossibile per l'esistenza di fazioni contrapposte nel clero locale, con conseguenti veti reciproci che si aggiungono alla difficolta' di scegliere in una rosa ristretta di candidati perche' il diritto canonico esclude dall'episcopato i preti sposati che nell'eparchia sono invece la maggioranza. "Sua Eccellenza Nunnari e' persona degnissima e stimatissima, ma il suo incarico - hanno protestato amministratori e politici locali riuniti nel municipio di Lungro - mette in discussione consolidate tradizioni e, per molti versi, l'identita' stessa della comunita' italo albanese. Appare infatti incomprensibile che l'interim sia affidato ad un vescovo di rito latino, colpendo duramente la sensibilita' dell'intera comunita' arbereshe. Con la semplicita' propria di chi e' all'oscuro dei sottili equilibri che regolano l'incedere della Chiesa nelle scelte di affidamento della pastorale, sentiamo l'obbligo morale di chiedere che si arrivi in tempi brevi alla nomina del nuovo vescovo, sentendosene viva esigenza". Ancora piu' intricata la situazione della Chiesa italo-albanese in Sicilia. Gia' delegato apostolico per l'abbazia di Grottaferrata dal 1994, mons. Tamburrino ha assunto in giugno la giurisdizione anche sull'eparchia di Piana degli Albanesi in Sicilia, dove il 73enne vescovo Sotir Ferrara non riusciva piu' a tenere insieme i preti sposati e quelli celibi che dipendevano da lui (e si puo' ben immaginare che - date queste premesse - tra due anni sara' difficilissimo trovargli un successore). L'episodio piu' clamoroso risale all'anno scorso, quando in occasione del tradizionale rito della Paraclisis (un canto di lode alla "Madre di Dio") il parroco latino della Chiesa della Madonna della Favara a Contessa Entellina, don Mario Bellanca, aveva fatto trovare chiuso il portone della chiesa ai fedeli di rito greco, costringendoli a celebrare all'esterno. Per svelenire il clima, mons. Tamburrino ha deciso la rotazione di alcuni parroci ma trasferire i "papas", cosi' vengono chiamati i preti sposati, e' molto complicato. "Devo condividere con la mia famiglia sacerdotale questa decisione cosi' come ho condiviso con essa il mio presbiterato", ha risposto al delegato uno dei parroci trasferiti, papas Sepa Borzi', che era stato destinato proprio a Contessa Entellina. Mentre a San Nico di Cantinella, frazione di Corigliano, la cui comunita' e' stata staccata dalla parrocchia greco-cattolica di Cantinella e assegnata a quella latina, sono i fedeli a ribellarsi. "Senza rispetto per le nostre tradizioni spirituali - hanno scritto in un appello - veniamo di nuovo destinati alla completa latinizzazione, nonostante recenti scandali locali non del tutto estranei alla costruzione di una chiesa latina destinata alla nostra comunita' greco-albanese e all'abbandono spirituale nel quale si trovano i nuovi immigrati ortodossi residenti anche in nostri paesi arbereshe privi di clero ortodosso". Il riferimento e' in particolare alla comunita' greco-cattolica rumena presente in Italia (oltre mezzo milione di immigrati) che recentemente si e' vista respingere dalla Cei la richiesta di farsi seguire in Itaia da clero uxorato messo a disposizione dall'episcopato rumeno perche' non esisterebbe "la 'giusta e ragionevole causa' che giustifichi la concessione della dispensa" dalla legge ecclesiastica per la quale i preti sposati delle Chiese orientali non possono esercitare al di fuori del territorio storico della loro Chiesa: un limite contro cui hanno protestato anche i vescovi riuniti lo scorso ottobre in Vaticano per il Sinodo sul Medio Oriente. "La convenienza di tutelare il celibato ecclesiastico e di prevenire il possibile sconcerto nei fedeli per l'accrescersi di presenza sacerdotali uxorate prevale infatti - ha spiegato in una lettera ai vescovi rumeni il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco - sulla pur legittima esigenza di garantire ai fedeli cattolici di rito orientale l'esercizio del culto da parte di ministri che parlino la loro lingua e provengano dai loro stessi Paesi". Recentemente un paio di sacerdoti italiani di rito orientale, stanchi dei contrasti, sono passati a chiese ortodosse, seguiti da gruppi di fedeli. Questo fatto rende particolarmente inquietante che l'appello dei fedeli di San Nico sia indirizzato nell'ordine "ai patriarchi di Mosca e di tutte le Russie, Romania, Bulgaria, agli arcivescovi di Atene e di tutta la Grecia, Tirana e di tutta l'Albania, di Ochrida e, per conoscenza, al Papa, a mons. Pio Tamburrino, metropolita di Foggia e visitatore apostolico di Piana degli Albanesi e a mons. Salvatore Nunnari, metropolita di Cosenza e amministratore apostolico di Lungro". Inseguito dai problemi dell'eparchia siciliana fino a Foggia, dove pulman di fedeli bizantini sono andati a protestare, mons. Tamburrino deve occuparsi anche dell'abbazia di Grottaferrata, definita da Pio XI "la fulgidissima gemma orientale incastonata nel diadema della Chiesa Romana". Sarebbe una fucina naturale per i vescovi di rito orientale, i quali dovendo essere celibi e ben preparati sono scelti spesso tra i monaci. Ma oggi, spiega l'archimandrita, padre Emiliano Fabbricatore, "gli unici monaci basiliani rimasti in Italia sono quelli che vivono nell'abbazia: in tutto siamo 12, tutti anziani e malati". Una possibile via d'uscita da queste difficolta' - come e' stato proposto nel 2005 fa al Sinodo Intereparchiale delle tre realta' bizantine italiane - sarebbe l'istituzione in Italia di un'unica prelatura per i fedeli di rito orientale, che certamente favorirebbe nuove vocazioni alla vita monastica e al sacerdozio (sia celibatario che uxorato).

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venerdì 18 febbraio 2011

Dal sito: “TESTIMONIANZA ORTODOSSA”

I N N I
& Preghiere alla Vergine Maria


SCHEDA LIBRO:
Pagine 60, riccamente illustrato da icone della Vergine. Rilegatura a spilla.

INDICE
• CANONE ALLA VERGINE, POEMA DEL RE TEODORO DUKA LASCARI: PAGINA 5
• KATAVASIE ALLA VERGINE, dal poema di San Giuseppe di Siracusa: PAGINA 17
• PREGHIERA ALLA TUTTASANTA THEOTOKOS DI SAN PIETRO STUDITA: PAGINA 19
INNI ALLA VERGINE DI SAN NETTARIO DI EGINA
• O VERGINE PURA, IMMACOLATA - AGNI PARTENE: PAGINA 22
• PREGHIERA ALLA VERGINE: PAGINA 24
• DONAMI DALLE TUE VIRTÙ: PAGINA 25
• PREGHIERA ALL’IMMACOLATA: PAGINA 27
• SIGNORA ASSISTI: PAGINA 28
• Sostegno nella lotta contro il maligno: PAGINA 29

Altre preghiere
• PREGHIERA ALLA VERGINE del monaco Paolo del monastero dell’Everghetis: PAGINA 31
• ODE DELLA VERGINE THEOTOKOS: PAGINA 33
• CANONE ALLA VERGINE THEOTOKOS DI SAN SERAFINO DI SAROV: PAGINA 35
• PREGHIERA ALLA VERGINE di San Gregorio Palamas: PAGINA 42

Inno alla Theotokos Eleusa "Santa Vergine
dell’AXION ESTI”: PAGINA 44
• Preghiera alla Vergine Theotokos: PAGINA 46
• INNO ALLA VERGINE IEROSOLIMITISSA: PAGINA 47
• ENKOMIA ( Lamentazioni) PER LA DORMIZIONE DELLA VERGINE: PAGINA 51.
Edito da “TESTIMONIANZA ORTODOSSA”
Direttore editoriale
Stilianos Bouris

Italia - L'Anno della Cultura e della Lingua russa


Roma, 16 febbraio 2011 - E’ iniziato con l’inaugurazione della mostra del pittore Aleksandr Deineka al Palazzo delle Esposizioni a Roma “l’Anno della cultura e della lingua russa in Italia e l’Anno della cultura e della lingua italiana in Russia”. L’evento ha visto la presenza del Presidente della Federazione russa Dmitri Medvedev e della signora Svetlana.
La mostra comprende ottanta opere del pittore sovietico della modernità, come viene definito Aleksandr Deineka, che stupì il mondo intero con il suo realismo poetico negli anni del regime sovietico.
Sono 550, tra concerti, mostre, rappresentazioni teatrali, gli eventi che caratterizzeranno l’Anno degli scambi culturali tra Italia e Russia. Il programma delle manifestazioni è stato presentato il 17 febbraio nel corso di una conferenza stampa a Palazzo Chigi.
Nel corso della sua visita ufficiale in Italia, Medvedev ha incontrato al Quirinale il presidente Giorgio Napolitano, poi il Primo Ministro Silvio Berlusconi, con il quale ha inaugurato la mostra, e successivamente in Vaticano Benedetto XVI.
Intanto domenica 20 febbraio si terrà in Abruzzo, presso il Palacongressi di Montesilvano la “Giornata della Russia”, spettacolo di musica, canti e balli popolari. Si esibiranno il Coro maschile della Filarmonica di Kaluga, il Coro femminile “LEL” della Città di Zelenograd e il Gruppo Popolare di Ballo “Credo” dell’Università Statale di Kaluga. Sono previsti due spettacoli, alle 15,00 e alle 20.30. L’ingresso è gratuito.
Nella città di Montesilvano ha sede in via Vestina n. 9 la Parrocchia del Patriarcato di Mosca dedicata alla Natività della Madre di Dio.









Kirill, Patriarca di Mosca

e di tutte le Russie

Il Patriarca Kirill (al secolo Vladimir Michailovič Gundjaev) è nato il 20 novembre 1946 a Leningrado nella famiglia di un sacerdote ortodosso. Dopo la scuola secondaria, nel 1970 ha concluso gli studi al Seminario e all’Accademia teologica di Leningrado. Il 3 aprile 1969 ha ricevuto la tonsura monastica dal Metropolita di Leningrado e Novgorod Nikodim (Rotov), pochi giorni dopo è stato ordinato diacono e nel giugno dello stesso anno sacerdote. Come segretario personale del metropolita e insegnante dell’Accademia ha partecipato a numerose attività esterne del Patriarcato. Diventato archimandrita nel settembre del 1971, ha rappresentato la Chiesa Russa presso il Consiglio Ecumenico delle Chiese e la Federazione mondiale della gioventù ortodossa Syndesmos.
Nel 1974 è stato scelto Rettore del Seminario e dell’Accademia teologica di Leningrado e nel marzo del 1976 è stato consacrato vescovo di Vyborg, vicario della diocesi di Leningrado. Nominato arcivescovo nel settembre 1977, dal 1979 è stato membro della Commissione del Sacro Sinodo per l’unità cristiana. Nel 1984 è stato trasferito alla diocesi di Smolensk, nel 1989 nominato presidente del Dipartimento delle relazioni esterne e membro permanente del Sacro Sinodo e nel 1991 eletto Metropolita.
Per lunghi anni ha preso parte attiva al dialogo interortodosso ed è stato impegnato nelle attività ecumeniche della Chiesa Russa, membro del Comitato Centrale e del Comitato Esecutivo del Consiglio Ecumenico delle Chiese, di commissioni teologiche interortodosse o di dialogo ortodosso-cattolico, ortodosso-protestante.
Il 27 gennaio 2009 il Concilio locale della Chiesa Ortodossa Russa lo ha eletto, a vastissima maggioranza, Patriarca di Mosca e di tutte le Russie; l’intronizzazione è avvenuta il 1 febbraio 2009  a Mosca nella cattedrale di Cristo Salvatore.
Il Patriarca Kirill è dottore e professore onorario di numerosi atenei, Istituti universitari e Accademie di vari paesi del mondo, autore di diversi libri sulla Chiesa Ortodossa e la vita cristiana, di più di 700 pubblicazioni sulla stampa nazionale e estera, e di alcune serie di trasmissioni televisive che hanno riscosso grande successo. Negli ultimi venti anni egli ha svolto un ruolo di primo piano nella vita intellettuale e culturale russa, intervenendo spesso pubblicamente a dibattiti e conferenze per esprimere il punto di vista della Chiesa, anche attraverso i mass-media, su questioni relative alla vita sociale, politica e economica del Paese, e collaborando attivamente con varie strutture dello Stato, soprattutto a livello legislativo. Sotto la sua direzione è stato elaborato il documento sui fondamenti della concezione sociale della Chiesa Ortodossa Russa, adottato dal Concilio giubilare dei vescovi nell’anno 2000.
Un elenco dettagliato dei compiti svolti dal Patriarca Kirill, su incarico dell’autorità ecclesiastica, prima della sua elezione alla cattedra patriarcale, delle onorificenze e dei riconoscimenti da lui ricevuti e delle sue pubblicazioni è reperibile sulle versioni russa e inglese di questo sito.

mercoledì 16 febbraio 2011

Domenica 20 febbraio 2011 - Del Figlio prodigo

20 febbraio 2011 – Domenica XVII di Luca: del Figlio Prodigo.
San Leone, vescovo di Catania. Tono VI
 
Tono VI
Le potenze angeliche vennero
al tuo sepolcro e i custodi
ne furono tramortiti.
Maria invece stava presso
il sepolcro in cerca del tuo
immacolato corpo. Hai pre-
dato l’inferno, non fosti sua
preda; sei andato incontro
alla Vergine, elargendo la
vita. O Signore, risorto dai
morti, gloria a te.
 
Kondakion
Ho abbandonato stoltamente
lo splendore paterno e ho
dissipato nei vizi quanto mi
avevi dato; per cui elevo a
te la voce del prodigo: ho
peccato dinanzi a te, Padre
misericordioso, accoglimi
pentito e trattami come uno
dei tuoi servi.
APOSTOLOS (1 Cor. 6, 12-20)
Lettura dalla lettera di Paolo ai Corinti.
Fratelli, “Tutto mi è lecito”. Ma non tutto giova.
“Tutto mi è lecito!”. Ma io non mi lascerò
dominare da nulla. “I cibi sono per il ventre
e il ventre per i cibi”. Ma Dio distruggerà
questo e quelli; il corpo poi non è per l’impudicizia,
ma per il Signore, e il Signore è
per il corpo. Dio poi, che ha risuscitato il
Signore, risusciterà anche noi con la sua
potenza. Non sapete che i vostri corpi sono
membra di Cristo? Prenderò dunque le
membra di Cristo e ne farò membra di una
prostituta? Non sia mai! O non sapete voi
che chi si unisce alla prostituta forma con
essa un corpo solo? I due saranno, è detto,
un corpo solo. Ma chi si unisce al Signore
forma con lui uno spirito. Fuggite la
prostituzione. Qualsiasi peccato l’uomo
commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si
dà all’impudicizia, pecca contro il proprio
corpo. O non sapete che il vostro corpo è
tempio dello Spirito Santo che è in voi e che
avete da Dio, e che non appartenete a voi
stessi? Infatti siete stati comprati a caro
prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro
corpo.

 VANGELO  (Lc. 15, 11-32)
Disse Gesù questa parabola: “Un uomo aveva
due figli. Il più giovane disse al Padre:
Padre, dammi la parte del patrimonio che mi
spetta, e il padre divise tra loro le sostanze.
Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte
le sue cose, partì per un paese lontano
e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto.
Quando ebbe speso tutto, in quel paese
venne una grande carestia ed egli cominciò
a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si
mise a servizio di uno degli abitanti di quella
regione, che lo mandò nei campi a pascolare
i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube
che mangiavano i porci; ma nessuno gliene
dava. Allora rientrò in se stesso e disse:
Quanti salariati in casa di mio padre hanno
pane in abbondanza e io qui muoio di fame!
Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre,
ho peccato contro il Cielo e contro di te;
non sono più degno di esser chiamato tuo
figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì
e si incamminò verso suo padre. Quando era
ancora lontano il padre lo vide e commosso
gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.
Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro
il Cielo e contro di te; non sono più degno
di essere chiamato tuo figlio. Ma il padre disse
ai servi: Presto, portate qui il vestito più
bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i
calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo,
mangiamo e facciamo festa, perché
questo mio figlio era morto ed è tornato
in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono
a far festa. Il figlio maggiore si trovava
nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a
casa, udì la musica e le danze; chiamò un
servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò.
Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il
padre ha fatto ammazzare il vitello grasso,
perché lo ha avuto sano e salvo. Egli si arrabbiò,
e non voleva entrare. Il padre allora
uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre:
Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai
trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai
dato mai un capretto per far festa con i miei
amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha
divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato,
per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli
rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me
e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far
festa e rallegrarsi perché questo tuo fratello
era morto ed è tornato in vita, era perduto ed
è stato ritrovato”.


 

domenica 13 febbraio 2011

Dal sito: www.ortodossia.info

Giampiero Comolli
I pellegrini dell'Assoluto
Storie di fede e spiritualità raccolte tra Oriente e Occidente


Baldini e Castoldi Editore
Stampato nel settembre 2002
© 2002 Baldini e Castaldi S.p.A.

Collana “I Saggi” n.212
Da pagina 198 a pagina 203

Intervista fatta all’incirca nel 2000

Al servizio dell'ortodossia

È un uomo sui trent'anni, dall'aria buona e quieta, ma nel suo eloquio, nel suo sguardo si avverte una tensione mistica, un'ascetica vibrazione. So che fa il bancario e che da alcuni anni si è convertito al cristianesimo ortodosso. Mi riceve indossando una sorta di tonaca, di grembiulone nero, all'ingresso della piccola chiesa ortodossa dove nel tempo libero serve come «ipodiacono»: un incarico simile a quello del sacrestano. Di lui però non conosco il nome e, quando glielo chiedo, si schermisce: per eccesso di umiltà non me lo vuole dire. Quello che segue è il suo racconto.

Preferisco presentarmi come un servo di una comunità che crede. Non ho particolari ambizioni, sono qui per servire una realtà in cui il Signore mi ha posto. Nella nostra comunità ognuno ha un compito, è tutta un'armonia, io sono semplicemente un servitore che vive in questa armonia, la serve e ne ha giovamento. Ma nulla si può fare senza credere: essere un credente, questo è fondamentale.
Ho avuto un'educazione religiosa molto, molto cattolica. Di quel cattolicesimo di paese, tanto semplice ma anche profondamente vero. Venivo da un piccolo centro del Meridione, radicato nelle sue origini cristiane. Si viveva una fede di tipo popolare, semplice e bella, una fede che soprattutto i miei nonni mi hanno testimoniato con grande bontà. Questo modo di vivere la fede, che mi è stato donato dalla loro testimonianza, è rimasto radicato in me, anche se la mia razionalità a un certo punto ha cercato di sottovalutarlo.
Durante l'adolescenza, infatti, mi sono staccato dalla fede, volevo essere razionale, scettico e scientista. Poi, verso i diciassette anni, incontrai per caso un gruppo di amici che vivevano un'esperienza di tipo cristiano cattolico, molto robusta. Ero meravigliato dalla letizia dei loro rapporti, dalla loro profonda vita comunitaria, e riscoprii così il fascino della vita cristiana. Capii che questi amici erano così buoni, non per loro merito, ma perché riconoscevano nella loro esistenza la volontà di un Altro che li guidava: il Signore Gesù. Decisi di assaporare anch'io questa letizia e piano piano riabbracciai l'esperienza cristiana. Tutto da allora mi divenne più lieto, anche se, orgoglioso e razionalista com'ero, dovetti cambiare totalmente me stesso.
Dai diciotto ai ventitré anni approfondii questa mia esperienza cristiana, senza diventare mai un bigotto. Quel nome e cognome che cambiava la mia vita si chiamava Gesù Cristo e quella nuova famiglia in cui ero entrato si chiamava Chiesa: il mio rapporto con Gesù Cristo dava senso alle cose attraverso la vita della Chiesa. L'abbraccio di Gesù non mi ha mai abbandonato, e quando io decisi di ricambiarlo lo feci in modo radicale. Verso i ventitré anni capii che essere tutto per Cristo significava la salvezza totale.
Gesù Cristo per me è colui senza il quale non posso fare niente. Lui è per me la Verità resa visibile: non solo un personaggio storico, ma una Persona divina che ho incontrato e continuo a incontrare, fisicamente e spiritualmente. Io so che devo seguirlo e mi rendo conto che questa sequela è giusta, perché ne godo cento volte tanto nella mia vita. L'abbraccio con Lui, infatti, mi fa essere vivo, lo sento sempre su di me. Semmai è il mio abbraccio verso di Lui a essere deficitario, e questa mia insufficienza, essa sì, è il mio dramma. Più grande è il suo amore verso di me, e più mi rendo conto del mio limite verso di Lui, cioè della mia distrazione, del mio peccato, del mio egoismo. Mi sento inadeguato a quanto Lui mi dà, e questo è fondamentale, perché mi aiuta a imparare l'umiltà. Si tratta insomma di un dramma sereno, perché Lui stesso mi dà gli strumenti per rimanere sulla sua strada.
Ma io non posso pensare all'abbraccio di Cristo, senza pensare ai fratelli che Lui mi ha messo intorno, che mi sono esempio e strumento per crescere nella fede. Non posso pensare al mio rapporto con il Signore senza la realtà della Chiesa. Vivere nella Chiesa è una grande grazia, perché un pover'uomo come me, per migliorare il proprio rapporto con il Signore, si può giovare della Tradizione cristiana custodita dalla Chiesa, può imparare la santità dagli insegnamenti dei santi Padri, i quali appunto, nel corso dei millenni, hanno già vissuto e testimoniato la santità.
Il mio passaggio all'ortodossia è stato estremamente armonioso, ma anche lungo e difficile, ed è durato circa tre anni e mezzo. Tutto nacque per caso, allorché entrai in una chiesa ortodossa, per ripararmi dalla pioggia. Per me gli ortodossi stavano in Russia e in Grecia, mai più pensavo che ve ne fossero anche in Italia. Era l'agosto del '96, pioveva a dirotto, passai per caso di fronte a una chiesa da dove uscivano dei canti, entrai bagnato come un pulcino, mi ritrovai dentro la celebrazione, e subito mi resi conto di un'esperienza diversa. L'esperienza di una Chiesa che ha saputo mantenere una spiritualità fedele alla Tradizione dei Padri, una Chiesa radicata nella propria origine.
Questo incontro mi stimolò a capire che esistevano altre realtà cristiane, in cui la trama dei valori non coincideva con quella che mi era stata insegnata. Mi sentii messo in discussione, e così volli tornare, quasi con un atteggiamento di sfida. Entrai con molta decisione una domenica, e dopo la liturgia mi misi a parlare con il sacerdote. Quello che mi colpì fu il suo, il loro amore per la Chiesa. Cominciammo ad approfondire insieme la storia del nostro reciproco amore per la Chiesa, io cattolico e loro ortodossi. Piano piano diventammo amici e fratelli, in senso cristiano, cioè complici di una vita di fede portata avanti insieme.
Iniziai a servire in questa comunità senza quasi rendermene conto, fino a quando divenne evidente che il mio posto era qui. Ma naturalmente non divenni subito ortodosso. La prima cosa che feci fu quella di offrire la mia nuova esperienza alla Chiesa cattolica, e quindi al mio padre spirituale. Iniziammo così un confronto in cui la mia anima era guidata dal sacerdote ortodosso e dal padre cattolico, affinché fosse fatto il volere di Dio e non il mio: non dovevo seguire il mio gusto, fare la scelta che personalmente mi piaceva o mi convinceva di più, bensì seguire quello che effettivamente il Signore voleva da me. La mia conversione non è stata determinata neanche da un ragionamento su quale delle due Chiese avesse ragione e quale torto: questo sarebbe stato un insulto a entrambe le Tradizioni. Piuttosto è avvenuto col tempo un prendere atto, un riconoscere che l'amore del Signore nei miei confronti, l'abbraccio che volevo sempre stringere con Lui, passava attraverso la Chiesa ortodossa.
Mi sono reso conto, abbiamo capito assieme che la strada offerta da questa Chiesa poteva dare maggiore completezza e ricchezza alla mia esperienza di fede, mentre nella mia esperienza di cattolico c'era qualcosa di deficitario. Ciò che reputo adesso mancante in un'esperienza cristiano-cattolica di tipo metropolitano - quale quella che può svilupparsi in una grande città - è il mordente. La Chiesa cattolica corteggia eccessivamente questa società segnata da un livello altissimo di ateismo: cerca di modernizzarsi secondo i criteri stessi di questa società, ma in tal modo l'esperienza di fede perde appunto di mordente, diventa deficitaria, e la Chiesa alla lunga rischia di soccombere agli imperativi stessi della società che corteggia. Invece io ho l'impressione che, per poter essere davvero moderna, la Chiesa dovrebbe recuperare la ricchezza del proprio passato, le radici della Tradizione, i tesori che i Padri ci hanno dato nel corso dei secoli. La Chiesa ortodossa ha appunto mantenuto una spiritualità molto fedele alla Tradizione dei Padri: una fedeltà che per me si è rivelata fondamentale al fine di approfondire il mio rapporto con il Signore. Perdere qualsiasi parte di questa Tradizione significa avere uno strumento in meno, un elemento in meno che ci permetta di diventare santi.
Amo la Chiesa cattolica non solo per quel che mi ha dato. La amo quando penso alla mia Italia, piena di martiri, piena di chiese da cui traspira la santità delle origini del cristianesimo. Ecco perché la mia conversione è stata così armoniosa. Sono contento di essere divenuto ortodosso, non in seguito a una contrapposizione fra Chiese, ma in virtù di un amore verso Cristo.
Certo, c'è stato un momento in cui ho maturato la decisione di passare all'ortodossia: dopo tre anni di preparazione e di servizio, tutto successe in una notte, devo ancora smaltire il sonno mancato. Durante quella notte di veglia mi resi definitivamente conto che la pienezza del mio cammino di fede era la Chiesa ortodossa. Allora, al mattino, mi presentai qui, chiesi di essere accettato e lo fui. Questo avveniva ad agosto dell'anno scorso. Da allora vado avanti con grande letizia, anche se è molto duro essere cristiani nella Chiesa ortodossa. La responsabilità, infatti, è enorme. C'è tutto un lavoro per imparare a non peccare più, c'è la disciplina della Chiesa, coi suoi digiuni e la sua preghiera costante. Se uno vuole diventare santo, se vuole amare Cristo e la Chiesa, qui gli strumenti li trova, ma è la fedeltà a questi strumenti che si rivela difficile. Tale fedeltà è, se vogliamo, la vera conversione.
Noi ad esempio digiuniamo a lungo, ed è difficile concepire il digiuno in una società atea e consumista come la nostra. Le preghiere di preparazione alla liturgia domenicale e all'eucaristia durano tutta la settimana, la quale per noi è sempre, interamente santa. E queste preghiere di preparazione sono così intense che ti fanno venire i brividi, ti fanno capire la tremenda potenza del Sacramento dell'Eucaristia. Venendo dal cattolicesimo, io ero abituato a un digiuno di un'ora, prima di avvicinarmi al Santissimo. Prepararsi invece all'eucaristia per tutta la settimana, questo atteggiamento di serietà estrema, ti fa arrivare al sacramento in una condizione veramente potente.
Quando parlavano della comunione, i miei amici cattolici sottolineavano l'aspetto personale del loro rapporto con il Signore. Mentre nell'ortodossia l'aspetto comunitario viene molto più enfatizzato. Nella comunione, infatti, non c'è soltanto il proprio rapporto personale con Gesù Cristo, ma questo rapporto avviene entro la comunità dei fedeli, testimoni e amanti del tuo gesto di comunione. Il proprio rapporto con il Signore è immerso nel rap¬porto con i fratelli. E quindi l'unità della Chiesa è totale.
Il mio servizio di ipodiacono è come quello di un servo, io ho il compito di far sì che i miei fratelli abbiano la possibilità di veni¬re qui, per incontrare Cristo pregando. Metto il sacerdote in con¬dizione di fare il suo lavoro, aiuto il coro, tengo in ordine la chie¬sa, sono solo un piccolo ingranaggio che permette a tutti di essere vicini al Signore, ciascuno secondo la sua vocazione. Ciò che dà si¬gnificato alla mia esistenza è l'essere servo di Dio: se smettessi di farlo non sarei più me stesso, è questo che mi tiene in piedi. Il mio futuro sono questi fratelli, di cui sono servo, un futuro che vedo nei loro volti. Non so quali altri compiti il Signore mi darà. Ma og¬gi sento più stretto, vicino, profondo, completo, maturo il mio rapporto con il Signore. Lui non si è mai allontanato da me, mi ha sempre abbracciato nello stesso modo, totalmente. Semmai ero io, sono io a essermi allontanato da Lui. Il punto su cui sempre mi in¬terrogo è quanto traditore o quanto amante io sia verso di Lui, fi¬no a che punto cioè io riesca a corrispondere con la mia fedeltà al suo grande, totale abbraccio.