domenica 21 novembre 2010

Dal sito amico: Eleousa.net

La Madre di Dio "Pelagonitissa"
 editoriale di Fernanda Santobuono

L’Icona della Madre di Dio “Pelagonitissa” è uno dei tipi più sorprendenti dell’iconografia perché si allontana di molto dalla concezione solenne delle Madonne bizantine. Il Bambino Gesù non troneggia sulle braccia della Madre, come nell’Icona della Odighitria, ma con un originale movimento si rivolge verso di Lei e, tenendo la testa rovesciata, sfiora con una mano la guancia della Madre. Il Figlio di Dio è raffigurato come un ragazzino che gioca e si agita. Per questo, gli iconografi russi chiamavano questo tema, largamente diffuso nel Medioevo, il “gioco del Bambino” e gli storici contemporanei vedono in esso una variante dell’Eleuosa, la “Vergine della Tenerezza”. Infatti questo tipo riflette, come nessun altro, le caratteristiche di una spiritualità affettiva ed emozionale.
Le prime opere risalgono alla fine del XII secolo. Le più antiche rappresentazioni si trovano in una miniatura siriana nel Salterio del Museo Britannico dell’anno 1203, in una miniatura di un vangelo serbo del secolo XIII, a Prizren in Kosovo, e in un affresco della chiesa di S. Giorgio a Staro Nagoricino (Macedonia) del 1318, che riporta l’iscrizione “Moldavskaja” e, ovviamente, sul Monte Athos. Un’altra copia di origine macedone, del XV secolo, si trova nella collezione del Monastero di Santa Caterina sul Monte Sinai.
Nel monastero di Decani, in Kosovo, il sarcofago del re fondatore Stefano Dečanski (1285-1331), nella cattedrale del Cristo Pantocrator, si trova accanto all’Icona della Madre di Dio “Pelagonitissa” (XIV secolo). La cattedrale è la più grande chiesa medievale dei Balcani, celebre per i suoi affreschi, più di mille, sul Nuovo Testamento.
Quando si contemplano immagini antiche di questo tipo, si è sorpresi nel notare che l’espressione dei due volti è grave, perfino angosciata. E il movimento del corpo del Bambino non è quello di un bimbo turbolento, bensì di un bambino che si agita perché ha paura. Può darsi che questo fatto sia dovuto allo stile del tempo che presentava soggetti gravi, ma può darsi anche che questa Icona abbia avuto all’inizio un altro significato. In quell’epoca la Passione aveva un grande ruolo nella devozione del popolo. Anche l’Icona della “Vergine di Vladimir”, della stessa epoca, reca nel retro i simboli della Passione.
La Pelagonia era la regione della Macedonia, la cui capitale era Monastir, oggi Bitola e questo sta a significare che l’originale dell’Icona era venerato in questa regione e l’iscrizione “Moldavskaja” la sua grande diffusione nei paesi dei Balcani.
Questa regione fu teatro della Battaglia di Pelagonia nel 1259, la cui vittoria da parte dell’Impero di Nicea sul Principato d’Achea determinò la riconquista di Costantinopoli nel 1261.
Nel VI secolo dC il territorio dei Balcani, che apparteneva all'Impero bizantino, fu meta della migrazione dei Serbi, un popolo allora pagano proveniente dal Nord Europa. Il loro insediamento stabile risale al periodo del regno dell'Imperatore Giustiniano (527-565 dC). La loro cristianizzazione, invece, fu molto più tarda sebbene i loro vicini Croati e Bulgari avevano abbracciato il Cristianesimo già secoli prima. Missionari cristiani giunsero presso le tribù serbe da Salonicco e Costantinopoli, ma anche dalle città costiere dell'Adriatico, dove esistevano comunità cristiane pre-slave che erano state oggetto di invasioni e devastazioni da parte di tribù nomadi nel IV e V secolo. Le fonti attestano battesimi di massa tra i Serbi già nel VII secolo, durante il regno dell'Imperatore Eraclio (610-641), ma la conversione definitiva iniziò quando Re dei Serbi era Mutimir mentre Basilio il Macedone era Imperatore di Bisanzio (812-886). Un fortissimo impulso alla cristianizzazione dei Serbi fu dato dai fratelli Cirillo e Metodio chiamati dal principe Ratislav ad evangelizzare la Pannonia e la Moravia.
Col passare del tempo, si consolidò una struttura ecclesiastica puramente slava che faceva capo alla chiesa autonoma bulgara. L'allora Imperatore di Bulgaria Samuele (976-1014), creò un Patriarcato con sede ad Ocrida (nell'attuale Macedonia); esso fu ridotto ad Arcivescovado dopo la conquista della Bulgaria da parte dell'Imperatore di Bisanzio Basilio II. In quello stesso periodo, sulle coste dell'attuale Montenegro, era fiorente il Principato di Doclea. Il suo sovrano, Jovan Vladimir (+1016), genero di Samuele di Bulgaria, aveva la fama di uomo pio e devoto, costruì chiese e tenne in gran conto l'educazione religiosa dei suoi sudditi, affidata al clero slavo. La Doclea, però, non era una nazione politicamente stabile, trovandosi vicina ai due grandi imperi dell'area, quello bizantino e quello bulgaro. Nel 1067, il Papa creò l'Arcidiocesi di Antivari (l'attuale Bar). Nel 1077 il Principe Mihailo, per scrollarsi di dosso il potere bizantino, chiese ed ottenne da Roma la corona di Re. Fu così che, proprio dalla terra del pio Jovan Vladimir così legato alla spiritualità orientale, iniziò un processo di latinizzazione del cristianesimo, che arrivò a lambire altre aree della zona, comprese le terre abitate dai Serbi. È importante sottolineare che ciò avvenne dopo il 1054, anno in cui si consumò lo scisma d'oriente, la divisione tra la Chiesa cattolica e quella Ortodossa.
Nel 1183, il principe di Raška, Stefan Nemanja (1169-1196) conquistò la Doclea e l'annesse ai suoi territori. Distrusse la città di Antivari, sede dell'Arcivescovado latino, e pose la chiesa sotto l'influenza spirituale di Bisanzio. Intese riunire la maggior parte delle popolazioni serbe in un unico stato e pertanto intraprese numerose guerre di espansione. In politica estera, si alleò con l'Impero bizantino, e sul versante religioso sposò le posizioni ortodosse. Cristiano fervente, fece costruire numerosi edifici religiosi, tra cui i monasteri della Madre di Dio e quello di San Nicola a Toplica, la chiesa di San Giorgio a Novi Pazar, il monastero di San Panteleimon a Niš e il celebre monastero di Studenica, definito la madre di tutte le chiese serbe, in cui riposa il suo corpo.
Nella tormentata vicenda dei Balcani e della Serbia, che affligge ancora questa ‘terra di passaggio’, punto d’incontro e di frizione tra civiltà, i complessi monumentali hanno costituito spesso l’unico ‘segno’ di sopravvivenza ‘materiale’ per interi gruppi nazionali e culturali. Legati all’orgoglio delle origini, essi sono diventati nei secoli simbolo della ‘resistenza’ della propria identità anche nei periodi di allontanamento, di silenzio e di paura. La distruzione e ricostruzione di singoli edifici o di interi nuclei conferma come il bisogno di radicamento nella propria storia collettiva abbia incentivato la conservazione del patrimonio culturale.
Gli organismi internazionali – anche volendolo - non possono garantire da soli la sopravvivenza dei monumenti giudicati “patrimonio dell’umanità”, se questi non saranno “vissuti” da chi, attraverso drammatiche vicende, ha consentito che giungessero fino ad oggi.
La “chiusura” ideale verso interi Paesi, causata da separazioni e conflitti, ha sempre creato forti danni all’unità della conoscenza. Solo nel 19° secolo il nuovo interesse nei riguardi dei popoli che si liberavano dalle antiche dominazioni e il desiderio degli intellettuali balcanici di riallacciarsi alle proprie radici, nel periodo in cui si formava il nuovo Regno di Serbia, portarono alla ripresa e alla protezione di quanto sopravvissuto: sulle mura delle chiese monasteriali costruite tra la fine del XII e la metà del XV secolo restavano, pur danneggiati, complessi pittorici di altissimo rilievo, più numerosi che in altri centri dell’antico Impero bizantino. Tra questi, l’Icona della Madre di Dio Pelagonitissa assume un ruolo fondamentale nella posizione che la Chiesa ortodossa serba riveste oggi nel mondo dell’Ortodossia. Sotto la sua giurisdizione ricadono i fedeli che vivono in Serbia, Montenegro, Bosnia Erzegovina, Macedonia e Croazia.

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